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Schengen, restano i controlli

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Schengen, restano i controlli

  • –Beda Romano

bruxelles

L’avvicinarsi di elezioni in alcuni Paesi europei sta creando nuove tensioni sul fronte migratorio. Una riunione ieri dei ministri degli Interni ha mostrato le molte divergenze nella gestione dei rifugiati. Mentre le operazioni di ricollocamento dei profughi arrivati in Grecia e in Italia vanno a rilento, alcuni governi temono che Roma e Atene consentano ai migranti di proseguire illegalmente verso Nord e chiedono quindi di prorogare i controlli alle frontiere interne dello Spazio Schengen.

Riuniti in Lussemburgo, i ministri degli Interni dei Ventotto hanno discusso di un rinnovo dei controlli alle frontiere di Germania, Austria, Norvegia, Svezia e Danimarca, in scadenza a metà novembre. Il ministro degli Interni tedesco Thomas de Maizière ha confermato di essere a favore di questa opzione. «Dobbiamo affrontare la realtà delle cose (…). Abbiamo 50mila rifugiati in Grecia e ve ne sono molti anche nella regione balcanica», ha aggiunto sulla stessa linea il suo omologo austriaco Wolfgang Sobotka.

Quest’ultimo ha affermato che difficilmente entro metà novembre le frontiere esterne dell’Unione saranno tornate sotto controllo. La speranza della Commissione europea di ritornare alla piena e libera circolazione nello Spazio Schengen entro fine anno appare affievolirsi. Germania e Austria sono Paesi in cui si voterà a breve. Il governo in carica non vuole dare l’impressione di essere morbido nei confronti dell’immigrazione, col rischio di rafforzare indirettamente i partiti più radicali.

De Maizière è arrivato al punto di proporre di trasferire i migranti salvati nel Mediterraneo non in Italia, ma in Nord Africa. «A quel punto si potrebbe valutare il loro diritto all’asilo, mettendo in pratica un iter di reinsediamento in Europa con una suddivisione equa tra i Paesi». L’idea non è troppo dissimile da quella presentata di recente dal premier ungherese Viktor Orbán. Questi aveva proposto di trasferire i migranti dall’Europa verso l’Africa (si veda Il Sole 24 Ore del 23 settembre).

Dietro alla proposta tedesca sembra esserci sfiducia nelle autorità italiane chiamate a identificare i migranti sul territorio nazionale. A questo riguardo, la Francia – dove nel 2017 si voterà per le presidenziali – è tornata anche lei a rumoreggiare su questo fronte. Secondo il ministro degli Interni Bernard Cazeneuve, «non è possibile immaginare che una parte di coloro che arrivano sul territorio italiano non passi dagli hotspot, altrimenti corriamo rischi per la sicurezza».

Il ministro degli Interni Angelino Alfano ha risposto che «l’Italia non è disponibile a diventare l’hotspot dell’Europa, non diventerà l’Ellis Island dell’Europa». E ancora: «All’Italia è stata chiesta responsabilità e le è stata promessa solidarietà. Abbiamo fatto tutto quello che ci era stato chiesto in termini di responsabilità, ma nulla ci è arrivato in termini di solidarietà. Questo è molto grave (…). È tanto più grave perché questa solidarietà era stata promessa su documenti scritti (...) che sono stati disattesi».

Il confronto tra i Ventotto è tornato ad essere acceso. Da un lato, il processo di ricollocamento dei rifugiati arrivati in Italia e Grecia va a rilento; per alcuni è addirittura fallito. Dall’altro, proprio per questo motivo, c’è il timore che Roma e Atene trasferiscano surrettiziamente verso Nord le persone che arrivano sul loro territorio, contribuendo a un circolo vizioso segnato da una evidente mancanza di collaborazione tra i Paesi, mentre i governi dell’Est insistono per una solidarietà che sia «flessibile».

A questo proposito, e riferendosi all’insuccesso del ricollocamento obbligatorio, il ministro degli Interni svedese Anders Ygeman ha avvertito che i fondi strutturali nei Paesi dell’Est sono a rischio: «Nel lungo termine, i contribuenti della Svezia si chiederanno: se è possibile decidere di non seguire le decisioni dell’Unione, allora perché noi non possiamo decidere di non versare denaro a coloro che non onorano i loro obblighi?». Ygeman ha poi aggiunto: «Non siamo ancora a questo punto, ma succederà».

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