Quando si parla di flotte aziendali il Total cost of ownership (Tco), ossia il costo totale di utilizzo di un veicolo, è ormai un parametro “superato”. Oggi le aziende sono chiamate a una sfida più ambiziosa: pensare alla sostenibilità come a un asset strategico anche quando si parla di mobilità. Si sta lentamente facendo strada una nuova visione che considera singolarmente le diverse voci che compongono il costo della mobilità aziendale e analizza anche l'utilizzo principale che viene fatto dei veicoli. Un calcolo complesso che tiene conto anche della telematica, dell'impatto ambientale e di nuove forme di mobilità come il car sharing o il car pooling. Benvenuti nell'era della Total cost of mobility (Tcm). Una visione strategica ancora di nicchia: la applica appena il 5% delle imprese, anche se la direzione da percorrere è quella giusta.
«Quello che spesso non si dice è che oggi addirittura meno del 30% delle aziende italiane è in grado di misurare il Tco di una flotta», sottolinea Davide Gibellini, amministratore delegato di GR advisory, società di consulenza specializzata in mobilità aziendale. Il problema, spiega, è che sempre più spesso le singole voci di costo sono scorporate e di competenza di settori diversi che non dialogano fra loro. «Risorse umane, finance e servizi generale, per esempio, hanno ciascuno un perimetro d'azione e un budget da rispettare, ma spesso è l'insieme che conta per valutare il rapporto tra costi e benefici». Non basta volere spendere meno: «Occorre prima lavorare sulla consapevolezza: le aziende devono sapere qual è la spesa effettiva che stanno affrontando oggi, per capire come risparmiare domani. Sembra banale, ma due aziende su tre non hanno la consapevolezza del costo generale della propria flotta», dice il numero uno di GR advisory.
La società di consulenza ha creato un software che combina dati quantitativi, elementi qualitativi, best practice aziendali e metriche di valutazione per aiutare le aziende a calcolare i costi complessivi. L'obiettivo è tirare fuori, studiando lo storico di una realtà, una ricetta su misura. «Meglio acquistare un'auto o noleggiarla? Non esiste una risposta esatta: dipende dall'azienda», dice Gibellini.
L'ottimizzazione dei costi e l'attenzione alle politiche ambientali sono molto più frequenti in flotte con veicoli commerciali: «Trattandosi di mezzi strumentali, viene data meno libertà di scelta agli assegnatari e si fa molta economia di scala - spesso scegliendo un solo costruttore se non un solo modello - con una maggiore facilità nella scontistica e nella gestione in generale». C'è anche più sensibilità su consumi e uso della telematica.
Poi c'è tutto il limbo delle “auto grigie”, quelle di proprietà di dipendenti che non hanno diritto all'auto aziendale ma che, con il proprio veicolo, effettuano trasferte occasionali e mettono in nota spesa i rimborsi chilometrici. «Questa rappresenta una voce molto importante nel budget mobilità che non è poi presente nel Tco generale delle flotte», precisa il manager. In questo caso una soluzione vincente, suggerisce Gibellini, potrebbe essere quella di creare una sorta di “mini car sharing interno” con 4-5 veicoli a disposizione per trasferte occasionali e utilizzabile su richiesta anche da tutti i dipendenti fuori dall'orario di lavoro.
In alternativa le soluzioni sul mercato sono già molte: servizi di corporate car sharing già esistenti, servizi di car pooling come Jojob o BePooler (appena sbarcato in Italia), soluzioni di noleggio green come quella proposta da Hertz, che ha da poco introdotto anche le Nissan Leaf, o persino realtà come la startup parmigiana Freekar che permette a circa 60mila autofficine in Italia di trasformare la propria auto di cortesia in un veicolo in sharing noleggiabile per uno o due giorni alla settimana.
Poi ci sono le buone pratiche aziendali. Chiesi Farmaceutici, per esempio, oltre ad avere introdotto tre vetture elettriche nel parco auto per gli spostamenti cittadini dei dipendenti e aver raggiunto un accordo con la cooperativa Taxi di Parma, ha anche messo a punto un software che permette di utilizzare una corsa in taxi secondo la filosofia del car pooling per spostare più dipendenti con una stessa vettura.
La prossima frontiera è una nuova interpretazione dell'auto come bene circolare da mettere “a profitto”: «Nuove forme di sharing e leasing possono spingere a un costante uso della macchina che, secondo una ricerca ABN-Amro, rimarrebbe inutilizzata per almeno il 66% del tempo. La durata media di vita dell'auto si ridurrebbe ma si aprono spazi per processi di rigenerazione e riuso delle componenti all'interno delle stesse fabbriche produttrici, come sta già facendo Renault», ha spiegato Emanuele Bompan, ideatore del Forum innovazione mobilità sostenibile che si è tenuto a Brescia a inizio ottobre.
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