Usa l’immagine della «decrescita felice», per dire una serie di no: no ad un’Italia «piccola, povera, rattrappita su se stessa, affascinata dalla prospettiva del baratto più che da quella dei big data»; no a quelli che «diffondono il virus del populismo», a chi crede che bisogna arrendersi alla stagnazione, e invece di costruire «progetti forti ed ambiziosi si aggrappa all’alibi dei poteri forti e ne agita lo spauracchio».
È «sbagliato, paradossale», ha scandito Marco Gay (foto), aprendo il convegno di Capri dei Giovani imprenditori. A questi scenari bisogna rispondere con «strumenti forti e idee forti», perché il futuro di una nazione si costruisce «sulla capacità di progettare».
Su questi tasti ha insistito il presidente dei Giovani nelle prime pagine della sua relazione. “Forti. Progetti, non poteri”, è il titolo che è stato scelto per questo 31° appuntamento di Capri. Siamo la seconda manifattura europea, ma dal primo gradino, la Germania, «ci separa tre volte il nostro valore aggiunto, mentre dal terzo posto, la Francia, solo uno zero virgola». Ecco perché occorre recuperare fiducia e competitività.
Il governo ha presentato la legge di bilancio: «Ha tutte le premesse per chiamarsi legge di sviluppo. Vediamo un piano che si chiama innovazione, perché aiuta le imprese a fare un salto avanti di dieci anni. Non possiamo che essere soddisfatti di vedere un disegno di politica industriale ampio e organico», ha detto Gay, sottolineando alcune riserve: «Ancora non si sa se Bruxelles darà il via libera e se in parlamento ci sarà l’assalto alla diligenza». Ci sono comunque risorse per consentire agli imprenditori di investire, «di rifarsi la competitività», grazie all’innovazione e a Industria 4.0. «Siamo imprenditori, non prenditori, ma siamo anche concreti e sappiamo che c’è ancora molto da fare», pur consapevoli che l’obiettivo delle imprese e del paese resta la crescita. «Se non cresciamo nel 2017 rischiamo di sforare ogni limite di deficit o di dover fare a breve una manovra correttiva lacrime e sangue». Gay si è soffermato su alcuni aspetti critici: sulle entrate, le coperture sono basate per lo più su misure una tantum e pochissimi risparmi strutturali di spesa pubblica. Ed ha rilanciato il piano dell’ex commissario Cottarelli di 34 miliardi di risparmi: «Peccato non essere andati avanti, una profonda spending review avrebbe aperto la strada ad un taglio immediato del cuneo contributivo e dell’Irpef». Poi c’è la questione fisco: «Più che cambiare nome ad Equitalia – ha detto il presidente dei Giovani - andrebbe resa equa l’Italia, chi sbaglia deve pagare, ma le tante persone perbene non vanno vessate», e resta una corporate tax tra le più alte d’Europa. Inoltre tra le molte voci che ancora mancano Gay ha citato i tempi lunghi dei pagamenti della Pa, l’inefficienza dei tempi della giustizia civile, l’accesso al credito, «troppo complicato, spesso unica alternativa ad un mercato dei capitali di rischio troppo povero». Al di là delle coperture, l’Italia dell’Industria 4.0 immaginata dal governo è per Gay un’Italia forte, che torna a progettare, che non ha bisogno di incentivi a pioggia ma di quei germogli che faranno rinascere l’industria italiana.
Resta aperta la questione produttività. In platea, in prima fila, ci sono i tre segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. «Siamo contenti che siano qua, di poterci confrontare. È una grande opportunità, specie per far capire che ci sono imprenditori che non fanno i furbetti o pensano solo alla propria ricchezza. C’è tanta gente perbene tra noi, lavoriamo insieme, sarà un passaggio importante per il futuro del paese».
La sfida non è solo un nuovo modello contrattuale: «Un modello che premi merito e produttività è la base ed è il presupposto per la crescita. Serve un salto dell’intero sistema industriale, discutere non su quale sia la quota di salario decisa in base a scatti fissi e quale in base ai risultati aziendali, ma piuttosto su come fare crescere i profitti. Perché se aumentano quelli, i guadagni per chi lavora sono maggiori di qualsiasi aumento strappato al tavolo delle trattative». Gay si è rivolto anche al governo: «continuate sulla strada di incentivare il salario di produttività, perché è la vera voce retributiva dell’Italia che ce la fa».
Nella rivoluzione industriale che si prospetta non conta il costo del lavoro stracciato, «ma valorizzare il made in Italy». È questa la sfida di Gay: «Innovare, trasformare, svecchiare» il capitalismo italiano. In questo disegno «pretendiamo una politica, a sinistra come a destra, capace di progetti forti». E il sì al referendum è per avere «un’Italia più stabile e più semplice. Non possiamo accettare chi voterà no per antipatia dell’attuale governo o perché sperano di lucrare dalla bocciatura della riforma». È l’Italia che ha l’orgoglio di affrontare le sfide il paese che i Giovani hanno voluto contribuire a costruire in questi tre anni di presidenza, portando avanti come ha detto Gay in conclusione «le nostre idee con coraggio e senza paura», in modo «autorevole e indipendente da interessi e influenze esterne». E la platea l’ha salutato con una standing ovation.
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