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I contratti aziendali per rilanciare la crescita

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L'Analisi|L’ANALISI

I contratti aziendali per rilanciare la crescita

Il valore aggiunto per ora lavorata è cresciuto in media d’anno dello 0,3% nel lungo periodo considerato, anni in cui nell’Unione europea si viaggiava su variazioni medie dell’1,6% (+1,3% nella sola Eurozona) mentre tra le grandi economie continentali solo la Spagna registrava una corsa un poco più debole ma comunque migliore della nostra (+0,6%). La debolezza italiana si è manifestata nelle diverse fasi del ciclo economico: tra il 2003 e il 2009 (espansivo) e nel 2009-2013, quando la recessione ha colpito con più forza. Anche se proprio in questa fase più critica il calo del valore aggiunto è stato inferiore a quello delle ore lavorate.

Paradossalmente ora che siamo usciti dal ciclo negativo del Pil vi restiamo per quello che riguarda la produttività del lavoro, con variazioni nel 2015 sotto la linea (-0,3%) solo in Italia, mentre Germania, Francia, Spagna e Regno Unito hanno continuato a registrate incrementi. Le cause di questa debolezza sono a largo raggio: partono da un sistema di contrattazione sicuramente non più al passo dei tempi e arrivano a un modello di formazione del capitale umano e un sistema di politiche attive a loro volta non confrontabili con i benchmark europei. La sfida dei contratti aziendali potrebbe rappresentare una chiave di volta da cogliere senza indugio. In particolare accordi di secondo livello calibrati per premiare la produttività determinerebbero un vantaggio competitivo sia per il lavoro sia per il capitale investito.

L’altro punto di debolezza riguarda proprio la produttività del capitale, definita come rapporto tra valore aggiunto e input di capitale: -0,9% in media d’anno nel ventennio. Tra il 2003 e il 2009 l’input di capitale (investimenti) è sempre cresciuto, mentre dalla recessione in poi il calo è stato continuo, tanto è vero che oggi l’accumulazione di capitale in termini reali rimane su livelli inferiori del 30% rispetto a quelli del 2007. Le leve per il recupero sono state attivate da tempo (e rafforzate con l’ultima manovra) ma il tempo del recupero non sarà breve.

Il dato più in positivo che ci offrono le misure di produttività Istat, elaborate con l’approccio analitico della “contabilità della crescita” che scompone i contributi derivati da capitale e lavoro da quelli derivanti dalla produttività totale dei fattori (progresso tecnico, innovazioni di processo e di prodotto, miglioramenti dell’organizzazione del lavoro e delle tecniche di gestione manageriale d’impresa) arriva proprio da quest’ultima componente. La produttività totale dei fattori è risultata in crescita sia nella fase recessiva (+0,8% media d’anno nel 2009-2013) sia negli anni di ripresa (+0,7% nel 2014 e +0,4% nel 2015). È una discontinuità a cui si deve guardare con attenzione e fiducia: significa che la lunga crisi ha operato una selezione tra soggetti economici che non era scontata. L’efficienza del sistema espressa sul fronte dell’innovazione, gestione e organizzazione delle imprese ha tenuto, forse è cresciuta. Bene allora adeguare gli altri fattori, come detto partendo magari da un nuovo modello contrattuale capace di premiare la produttività aziendale. A beneficiarne sarà la contabilità della crescita prossima ventura.

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