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Scafista jihadista fermato in Calabria

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Scafista jihadista fermato in Calabria

  • –Roberto Galullo

La Jihad è sbarcata in Calabria con i suoi piani di proselitismo terroristico.

Di questo è convinta la Procura distrettuale antimafia e antiterrorismo di Catanzaro che ieri ha emesso un decreto di fermo con l’accusa di terrorismo nei confronti del ventitreenne siriano Abo Robeih Tarif.

Già in carcere a Rossano (Cosenza) con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, è stato addestrato con l’uso di armi da guerra, ha manifestato espressamente la volontà di partecipare a operazioni di martirio e – soprattutto – ha posto in essere attività di indottrinamento e reclutamento di nuovi adepti tanto tra i soggetti che ha trasportato illecitamente da Mersin (Turchia) facendoli sbarcare sulle coste calabresi il 14 settembre 2014, che tra quelli presenti all’interno del Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Isola Capo Rizzuto (Crotone).

Lo scafista, secondo la Procura, ha collegamenti con Jabhat al-Nusra (Fronte del soccorso al popolo di Siria), di cui fa parte il fratello dell’indagato.

L’attività ricostruita dalla Procura di Catanzaro – dal capo Nicola Gratteri e dal sostituto Giovanni Bombardieri che hanno delegato le indagini al Nucleo di polizia tributaria di Catanzaro della Guardia di finanza guidato dal colonnello Carmine Virno – è una delle prime occasioni investigative in cui la magistratura riesce a collegare l’attività degli scafisti al terrorismo internazionale di matrice islamica. Il fermo del siriano, ha detto Gratteri, «è la prova oggettiva dell’interesse del terrorismo sulla tratta degli immigrati. Non bisogna certo generalizzare e criminalizzare ma deve fare scattare l’attenzione».

Il fermo in carcere del siriano si è reso necessario in quanto il detenuto stava per essere scarcerato a seguito dell’ordinanza di concessione di liberazione anticipata emessa dal magistrato di sorveglianza di Cosenza.

Investigatori e inquirenti sono rimasti colpiti dal fatto che l’indagato ha conservato video, immagini e messaggi a costo di correre il rischio di subire (come poi è accaduto) controlli da parte della polizia giudiziaria al momento dello sbarco sulla costa calabrese. Secondo i magistrati è la necessità di disporre di strumenti per accreditarsi come soggetto inserito in un contesto associativo terroristico di grande rilievo.

Il giovane siriano, dunque, pur consapevole della sua attività e della circostanza del sequestro dei cellulari e addirittura dopo l’immediata liberazione disposta dal Pm di Crotone il 17 settembre 2014, è rimasto in Calabria ed in particolare presso il Cara di Sant’Anna dove è stato poi nuovamente arrestato l’8 ottobre.

Per la Procura di Catanzaro c’è un’unica, plausibile, spiegazione: il compito dell’indagato non si limitava al trasporto illecito dei clandestini ma era finalizzato anche all’indottrinamento e reclutamento di nuovi adepti e – per utilizzare le stesse parole usate dall’indagato – per «registrare una operazione di martirio».

La Gdf ha evidenziato che il siriano aveva collegamenti in Danimarca, Irlanda del Nord, Bulgaria, Turchia ed è inoltre risultato in contatto con utenze riconducibili al Regno Unito, Turchia, Siria, Libano, Giordania, Qatar, Egitto, Algeria e Venezuela. Il 25 giugno di quest’anno gli è stata persino trovata una lettera nella quale il mittente, secondo la ricostruzione della Procura, gli chiedeva delucidazioni sulle caratteristiche della persona da scegliere per il compimento di un’azione non meglio specificato

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