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La Consulta apre al cognome della madre per i figli

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La Consulta apre al cognome della madre per i figli

La Corte costituzionale ha accolto oggi il ricorso presentato dalla Corte di appello di Genova sulla possibilità di dare il cognome della madre ai figli, dichiarando l'illegittimità costituzionale della norma, spiega una nota diffiusa dalla Corte, «che prevede l'automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa volontà dei genitori». All’origine del ricorso dei giudici genovesi (per violazione di una serie di diritti costituzionali come quello all'identità personale e di pari dignità dei genitori), una causa promossa da una coppia dopo il rifiuto dell'ufficiale di Stato civile di apporre al loro figlio, nato nel 2012, anche il cognome della mamma.

Giudizio su norma “implicita” dell’ordinamento
Bisognerà ora attendere il deposito della sentenza, la cui estensione è affidata al giudice Giuliano Amato, per capire le motivazioni della Corte, chiamata a pronunciarsi su una norma “implicita” del nostro ordinamento. Ovvero, una norma non prevista in modo specifico da alcuna disposizione di legge ma desumibile da alcuni articoli del Codice civile, da un Regio decreto del 1939 e da un decreto del presidente della Repubblica del 2000, che in pratica dispongono l'attribuzione automatica del cognome paterno ai figli legittimi nati dal matrimonio anche se i genitori sono concordi ad attribuire al minore entrambi i cognomi.

Il precedente del 2006
Già nel 2006 la Consulta aveva trattato un caso simile, in cui si chiedeva di sostituire il cognome materno a quello paterno: in quell'occasione i giudici, pur definendo l'attribuzione automatica del cognome paterno un «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia», dichiararono inammissibile la questione sottolineando come spettasse al legislatore trovare una soluzione normativa al problema. Un auspicio finora rimasto sulla carta, dal momento che le Camere non hanno finora varato alcuna norma sul tema. La sentenza rientra tra le decisioni che i giuristi definiscono di «costituzionalità accertata ma non dichiarata». In pratica, per salvaguardare il principio di continuità dell'ordinamento giuridico, la Consulta scelse allora di rinviare, di fatto, la pronuncia di illegittimità costituzionale, per dar tempo al legislatore di agire. Inutilmente, data l’inerzia del Parlamento.

L’evoluzione del quadro giuridico
Dal 2006, però, il quadro giuridico di riferimento è cambiato parecchio, al punto che i giudici della Corte d'Appello di Genova hanno ritenuto venuto il tempo di un nuovo intervento della Consulta. Le tappe più significative di queste evoluzione sono un'ordinanza della Cassazione del 2008 (rimessione alle sezioni unite per una eventuale interpretazione della norma o un rinvio alla Consulta), l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona (vieta ogni discriminazione fondata sul sesso) e una condanna all'Italia della Corte di Strasburgo del 2014 per violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo per la mancanza, nel nostro ordinamento, di una deroga all'automatica attribuzione del cognome paterno.

Ddl di riforma fermo al Senato dall’estate 2014
A distanza di dieci anni, l’ultima decisione della Consulta rilancia dunque il problema dei ritardi del legislatore su un tema di attualità: dopo il via libera della Camera nell’estate 2014, il ddl sul doppio cognome ai figli è fermo in commissione Giustizia al Senato. Il relatore Sergio Lo Giudice (Pd) ha però annunciato la presentazione a breve di un nuovo testo base, con modifiche alle norme approvate da Montecitorio e basate, in sintesi, sulla possibilità per i genitori di assegnare al momento della dichiarazione di nascita presso gli uffici di Stato civile alternativamente, il cognome del padre, quello della madre o di entrambi. L’ordine è quello concordato dai genitori o, in caso di mancato accordo, in ordine alfabetico

Parsi: «Affermazione della parità padre-madre»
«Una sentenza giusta»: questo il primo commento alla decisione dei giudici costituzionali da parte della psicologa dell'età evolutiva e componente del Comitato Onu per i Diritti dei Bambini Maria Rita Parsi, che sottolinea come il verdetto della Consulta sia «rispettoso dei diritti delle donne e dei bambini. In questo modo - osserva - viene riconosciuta l'indiscutibile origine, il ”punto di partenza” di ogni vita: la madre. È l'affermazione della piena parità tra il padre e la madre all'interno di una famiglia». Soddisfatta anche la deputata di Forza Italia Elena Centemero, presidente della Commissione Equality and non Discrimination del Consiglio d'Europa, che parla di «passo in avanti verso il completo superamento degli ostacoli che ancora si frappongono ad una piena e totale parità di genere nel campo lavorativo, economico, sociale e anche familiare».

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