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L’eco del «fuori, fuori» urlato alla Leopolda è risuonato anche ieri. Stavolta però Matteo Renzi a chi invocava il «cacciali tutti» ha risposto: «Noi non cacciamo nessuno», ha detto il premier,intervenenuto a una manifestazione per il Sì a Frosinone. Parole che non bastano certo a mettere la sordina a uno scontro che con l’avvicinarsi del 4 dicembre diventa sempre più duro.
Al punto che Pier Luigi Bersani, pur tornando a ripetere da Palermo dove è in campagna per il No, che «il Pd è casa mia», in un post su facebook lascia intravedere per la prima volta la possibilità della scissione: «Io dico “dentro, dentro”, ma se il segretario dice “fuori fuori” bisognerà anche rassegnarsi a un certo punto». Il tentativo portato avanti da Gianni Cuperlo, che nei giorni scorsi ha raggiunto con la maggioraza dem l’accordo sulle modifiche all’Italicum, sembra aver già esaurito le possibilità per arrivare a una ricomposizione. «Renzi lavori per non spezzare il filo, altrimenti la responsabilità della rottura sarà sua», avverte l’esponente della minoranza dem con riferimento a quanto avvenuto alla Leopolda. A rispondergli è il sottosegretario alla presidenza Luca Lotti: «Noi abbiamo lavorato per cercare unità, come dimostra anche la vicenda della legge elettorale. Poi se qualcuno vuole fare oggi al Pd ciò che D’Alema e Bertinotti fecero all’Ulivo se ne assumerà la responsabilità».
Ma Bersani e i suoi ribaltano l’accusa. Per Roberto Speranza il documento sull’Italicum, è «un pezzo di carta», che equivale allo «stai sereno» di Renzi a Letta mentre l’ex segretario descrive l’attuale Pd come un mix di «sudditanza e arroganza» mentre si finge di non vedere che domenica «è finita alla Lega anche Monfalcone».
Renzi intanto tira dritto nonostante i sondaggi continuino a confermare il vantaggio del No. «La maggioranza della sinistra sta con me», rivendica. Di Bersani, della minoranza non parla, salvo stigmatizzare «quella parte dei dirigenti del passato che pensa solo alle poltrone mentre noi pensiamo ai nostri figli». L’obiettivo del premier è sempre più quello di mettere in evidenza l’eterogeneità del fronte del No: Berlusconi e Magistratura democratica, D’Alema e De Mita, Grillo e Casapound. Il 95% degli italiani, è convinto il premier, è «d’accordo nel merito» della riforma ma un terzo ancora non sa che cosa si vota.
Dopo la tappa a Frosinone e Latina, oggi il premier proseguirà il tour in quattro diverse Regioni. Un «tam tam» battente per spiegare argomenti «strambi» come il bicameralismo paritario. La verità è che a tenere assieme il fronte del No è solo il tentativo di dare «la spallata» al governo. Renzi insiste nella contrapposizione tra chi punta a ripristinare il passato per negare il futuro a quei «bamboccioni» che «stanno provando a cambiare l’Italia». Tra chi «ha fallito e ora vuole fare fallire anche noi» e chi non avrà fatto la riforma perfetta, «quella che non si farà mai», ma comunque ha fatto compiere «un passo in avanti». Ma in questi ultimi giorni nei ragionamenti del premier occupa sempre più spazio anche il tema della necessità per l’Italia di avere un governo forte. E lo scontro con Juncker sulla manovra va letto anche in questo senso.
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