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Dossier Trump punta su un grande piano di spesa in infrastrutture

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Dossier | N. (none) articoliSpeciale America al voto

Trump punta su un grande piano di spesa in infrastrutture

NEW YORK - Donald Trump l'ha detto a chiare lettere nel suo discorso per celebrare la vittoria. Per fare grande di nuovo l'America, il suo slogan elettorale più noto, la ricostruirà. Letteralmente, ha indicato dal podio dell’Hilton Hotel nel cuore di Manhattan: rifarà ponti, strade, ferrovie, scuole, aeroporti, centri urbani.

Un piano d'investimenti infrastrutturali è stato fin dagli inizi al centro del suo appeal di outsider e del suo programma elettorale, per dare lavoro “a 13 milioni di americani”. Ha promesso originalmente almeno di raddoppiare le cifre suggerite dalla rivale democratica Hillary Clinton, 275 miliardi. Poi ha delineato un piano ancora più monumentale, da mille miliardi, in parte con partecipazione privata, con l'appoggio del finanziere Wilbur Ross. Ha sostenuto che potrà finanziarlo facendo crescere l'economia del 4% invece che 2% odierno, un traguardo raggiunto grazie a generalizzati sgravi fiscali e a tagli delle regolamentazioni. Se necessario ha suggerito inoltre misure eterodosse per i repubblicani quali emissioni dedicate di bond.

Gli altri capitoli del suo programma economico non sono meno ambiziosi e aggressivi, almeno sulla carta. Sul fronte fiscale ha proposto una riduzione del numero di aliquote personali dalle attuali sette a soltanto tre, con la massima scesa al 25% dal 39,6 per cento. Le imposte sul reddito aziendale verrebbero a loro volta più che dimezzate al 15% dal 35 per cento. I critici calcolano che spese e riduzioni delle imposte farebbero esplodere il deficit, ma lui risponde ancora una volta che questi effetti verrebbero compensati dallo stimolo generato per la crescita.

Guardando alle rivoluzioni promesse nei rapporti economici internazionali, sul commercio i suoi toni protezionisti si sono concretizzati nella richiesta di rinegoziare degli accordi di libero scambio sottoscritti dagli Stati Uniti, dal Nafta al TPP, perché giudicati troppo sfavorevoli agli Stati Uniti. Ha minacciato di prendere di mira in particolare la Cina con ritorsioni e dazi sull'import del 45% e il Messico e i suoi prodotti con tariffe del 35 per cento.

La deregulation a tutto campo è stata un altro cavallo di battaglia: ha criticato pesantemente la riforma finanziaria Dodd-Frank introdotta dopo la crisi del 2008 come eccessiva. E ha indicato che in generale eliminerà il 70% delle normative oggi esistenti, comprese quelle ambientali, che giudica dannose per i piccoli business e per l'industria tradizionale. Una ratifica dei recenti accordi di Parigi sull'effetto serra appare quanto mai remota. Ai ministeri sarà inoltre affidata la missione di identificare e eliminare tutte le normative inutili.

Ha poi promesso, sul fronte legislativo, la cancellazione della riforma del settore sanitario Obamacare, che verrebbe sostituita con un piano basato sul libero mercato che incoraggi anzitutto la concorrenza tra le assicurazioni sanitarie private su scala nazionale e senza barriere tra Stati nell'offerta delle polizze. Non ci sarebbe infine nessuna nuova riforma dell'immigrazione per dare eventualmente la cittadinanza ai clandestini, semmai deportazioni di milioni di immigrati illegali e maggiori controlli alle frontiere.

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