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Veronesi: «Il futuro è donna»

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L’intervista

Veronesi: «Il futuro è donna»

Uno sguardo un po’ profetico, staccato dal presente, che solo le persone ricche di anni sanno avere. Umberto Veronesi ci ha indicato molte buone ragioni per essere e rimanere ottimisti. Soprattutto in Italia: salute, longevità, qualità della vita, pace. E poi c’è l’ottimismo che nasce da un futuro del mondo declinato al femminile. Secondo Veronesi, infatti, il pensiero femminile è destinato, in tutti i campi, a prevalere e a portare equilibrio e progresso nella società. All’indomani della sua scomparsa, l’intervista che l’oncologo milanese ha rilasciato a inizio 2015 a How to spend it, il mensile di lifestyle del Sole 24 Ore, regala il lusso di una prospettiva. Umberto Veronesi guarda con gli occhi della mente, come gli indovini antichi, ma senza la tentazione oracolare: esperienza e visione, col vincolo forte della scienza. Ecco le sue parole.

La direzione della civiltà rende ridondante il maschio
«Io ho le idee molto chiare: il vero privilegio è la libertà di pensiero, la possibilità di esprimersi in ogni modo e in ogni circostanza, senza confini di natura politica, sociale o di convenienza. Parlare, come sto facendo adesso, dire quel che so e quel che sento: in questo momento, sto compiendo un’azione massimamente lussuosa. Poi, se mi chiedi quello che mi diverte fare, non per lavoro o per necessità o per imperativo etico, ma per puro piacere, allora rispondo: leggere poesie. Mi piacciono le donne, Anna Achmatova, Marina Cvetaeva, e credo che il pensiero femminile sia destinato a dominare e prevalere in tutti i settori, da ora in poi. La direzione della civiltà rende ridondante il maschio, perché è dotato degli ormoni sbagliati, inadatti al cambiamento. Il testosterone, che sviluppa aggressività e muscoli, serviva diecimila anni fa quando bisognava uscire, cacciare, procurare cibo e sicurezza per moglie e figli chiusi in casa. Oggi si scarica contro se stessi e gli altri, in forme di sadismo o masochismo, nella violenza subdola, nel mobbing, nella competizione sfrenata. Una società pacifica e basata sul dialogo è per definizione appannaggio delle donne, che sono naturalmente, geneticamente, dalla parte della vita. E sono più brave a scuola, più portate a trovare soluzioni diplomatiche, hanno uno spiccato senso della giustizia, dell’organizzazione e dell’ordine (il che le rende perfette nei ruoli gestionali). Sanno decidere rapidamente nelle situazioni critiche, hanno capacità di ragionamento e concentrazione. Al contrario di ciò che si è detto per secoli, sono più adatte alle attività scientifiche e di ricerca. E poi basta andare al cinema, a teatro, ai concerti, alle mostre: il pubblico è praticamente solo femminile. Gli uomini riempiono gli stadi».

C’è un futuro del mondo al femminile
«Per questo sono ottimista: c'è un futuro del mondo al femminile, che porterà a una maggiore uguaglianza. Anche la tecnologia lavora in questo senso, rende il globo più omogeneo: in Italia abbiamo 1500 telefonini ogni mille persone, in Ghana 300, ma in breve il gap sarà superato. Il mondo sta cambiando rapidamente: presto andremo su Marte e non escludo che impareremo a prendere la velocità della luce. Le nanotecnologie daranno vita a materiali sempre più incredibili, si potrà leggere il giornale sotto la pioggia senza che si bagni, una bicicletta peserà venti grammi, le diagnosi saranno ancora più precoci. Se si conserva il giusto sguardo e un po' di sana obiettività, anche il presente è meglio di come lo dipingiamo. Al di là del lamento generalizzato, al di là delle preoccupazioni economiche e dello stallo del Pil, siamo i primi, nella classifica del livello di civiltà. L’Italia precede l’Inghilterra e moltissime nazioni evolute. Siamo uno dei Paesi più longevi, il che è un chiaro segnale di benessere: se un popolo vive a lungo, fino a 80 anni di media, vuol dire che le cure mediche funzionano, il cibo è buono, le condizioni di vita generali soddisfacenti. Abbiamo la più bassa mortalità neonatale del mondo, il più basso numero di omicidi, un sistema sanitario nazionale efficiente. Certo, molto si può ancora fare, a livello mondiale: con la mia Fondazione portiamo avanti la battaglia per il disarmo totale e contro la pena di morte. Sono fermamente convinto che il massimo della pena, per reati gravi, debba essere 10-15 anni: le persone vanno riabilitate e riportate ad essere cittadini. Occorre costruire una cultura della consapevolezza, che è poi la base della prevenzione, in ogni campo, medico, giuridico, relazionale. Sul piano individuale, invece, la vera scommessa è tutta dentro di noi. Una vita intensa dilata il tempo che, per sua natura, scorre incurante e inesorabilmente. Siamo noi che dobbiamo adattarci e trovare, nella durata della nostra vita, la miglior capacità di esprimerci. Il cervello è il direttore d’orchestra: non svilupparlo, allenarlo, espanderlo, renderlo sempre più vivace, significa sprecare la componente più straordinaria del nostro corpo».

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