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Piani risparmio, resta il nodo Ue su una quota riservata alle «piccole»

Appena delineati dalla legge di bilancio, i Piani individuali di risparmio (Pir) già dividono gli operatori del settore. Una diffusa richiesta emersa già in fase di elaborazione delle prime bozze, cioè un maggiore orientamento degli investimenti verso le piccole imprese, è in questi giorni oggetto di riflessioni tra i tecnici del governo.

Così come è stata confezionata, la misura potrebbe favorire l’afflusso di risorse verso medie imprese più strutturate mancando uno degli obiettivi che l’hanno ispirata, ovvero supportare finanziariamente le imprese meno attrezzate a intercettare sia il credito bancario sia capitali alternativi. Ecco quindi, da parte di diversi operatori, la proposta di istituire una quota minima di investimento in piccole imprese che hanno i requisiti per accedere al Mercato alternativo del capitale, l’Aim. In questa fase appare «difficile superare i vincoli comunitari» rivelano su questo punto fonti di governo, con riferimento a un passaggio complesso che andrebbe ridefinito con Bruxelles per negoziare una “quota Pmi” che non configuri la misura come incompatibile con le regole per gli aiuti di Stato. Per questo una correzione in Parlamento, con emendamento, appare non semplice.

Se i Pir dovessero conservare l’attuale formulazione, le imprese meno strutturate rischierebbero in effetti di restare ai margini di un flusso di investimenti che la relazione tecnica del governo stima in 1,8 miliardi nel primo anno e poi in crescita, fino a 5,4 miliardi dal 2021.

Ricapitolando, l’articolo 18 della legge di bilancio introduce a partire dal 2017 un significativo incentivo per chi utilizza i piani individuali di risparmio a lungo termine, in pratica dei “contenitori fiscali” (Oicr, gestioni patrimoniali, ma anche contratti di assicurazioni o depositi titoli) all’interno dei quali i risparmiatori italiani possono collocare praticamente tutti gli strumenti finanziari esistenti sul mercato retail purché l’insieme di tali strumenti sia posseduto per almeno 5 anni. Fino a 150mila euro, con tetto annuo di 30mila euro, il risparmiatore che apre un Pir gode dell’esenzione da tassazione dei redditi generati dall’investimento.

Il paniere degli investimenti deve però rispettare una precisa composizione: in ciascun anno di durata del piano, per almeno i due terzi dell’anno, almeno il 70% dovrà andare in strumenti finanziari (azioni o obbligazioni quotate e non) emessi o stipulati con imprese non «immobiliari» italiane, della Ue o dello Spazio economico europeo ma con stabile organizzazione in Italia. Di questo 70% poi, il 30% (in pratica il 21% dell’investimento totale) deve essere composto da strumenti finanziari di società diverse dalle 40 incluse nell’indice Ftse Mib. Il rischio però, secondo alcuni, è che questo 21% si concentri in modo prevalente tra medie aziende quotate che sono sotto l’asticella delle “big 40”.

In altre parole mentre l’Italia ha già discusso con Bruxelles e ottenuto informalmente il via libera alla riserva che elimina dal target di investimento l’indice che raccoglie circa l’80% della capitalizzazione di mercato interna, composto da società a liquidità elevata, almeno per ora teme di incassare il «no» europeo di fronte alla richiesta di un’ulteriore restrizione - pro piccole imprese - del perimetro.

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