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A modo suo, Silvio Berlusconi ha detto realmente quello che pensa. Ovvero che al momento «di veri leader nella politica ce n’è uno solo e si chiama Renzi». Anche perché l’unico in grado di poter competere con l’attuale premier «dalla politica è stato buttato fuori», ha aggiunto con chiaro riferimento a se stesso. Non si tratta di una dichiarazione d’amore verso colui che ai tempi del Nazareno era guardato con indulgenza quasi paterna. Certo, «Renzi - come ha detto ieri Fedele Confalonieri - è un ragazzo di 40 anni che, per tanti aspetti, ha le qualità di Berlusconi, non quelle dell’imprenditore, ma un po’ di storia simile a quella di Berlusconi l’ha fatta».
Quello del Cavaliere è un messaggio politico rivolto anzitutto al suo schieramento. Riconoscendo esclusivamente al suo avversario lo status di leader, Berlusconi minimizza le aspirazioni di quanti si sentono già in corsa per conquistare la leadership del centrodestra. «Eredi» attualmente non ce ne sono - conferma - anche perché quelli su cui dice di aver puntato o «sono passati dall’altra parte» si riferisce probabilmente ad Angelino Alfano) oppure «hanno deluso». Ragionamento che vale tanto per Stefano Parisi, liquidato perché, ha ripetuto anche ieri Berlusconi, «è evidente che nessuno può pensare di avere la guida o comunque un ruolo importante in una coalizione se gli altri membri della stessa coalizione non lo accettano». Ma anche per quanti, come Giovanni Toti, dopo aver ricevuto l’imprimatur ad Arcore hanno pensato di potersi affrancare, presentandosi ad esempio sabato nella piazza in cui Salvini si è autoproclamato candidato premier. Berlusconi non ha infatti alcuna intenzione di consegnare lo scettro al leader della Lega che “surfeggia” sull’onda di Trump, al grido «con i moderati non si vince».
Certo è che il riconoscimento sul campo offerto a Renzi dal Cavaliere ha fatto storcere a più di qualcuno la bocca nel centrodestra e dentro la stessa Fi. Si alimentano così nuovamente i sospetti sugli obiettivi di Berlusconi che, peraltro, ha perfino difeso il premier sulla lettera agli italiani all’estero con buona pace di Brunetta («È suo diritto informare i cittadini»). Anche la tempistica, in piena campagna referendaria, dà da pensare e c’è chi mette in fila le dichiarazioni di ieri su Renzi con l’endorsement per un ritorno al proporzionale, che Berlusconi ha fatto nei giorni scorsi. In sostanza quell’asse con la Lega che oggi l’ex premier ribadisce di voler mantenere, dal 5 dicembre potrebbe tornare in discussione. Berlusconi continua a ritenere fortemente probabile la vittoria del No, ma ritiene che la partita non sia ancora chiusa.
Dei sondaggi a tre settimane dal voto non si fida. E in ogni caso il suo obiettivo è che la sconfitta di Renzi non coincida con la vittoria di Grillo e Salvini. L’ideale per il Cavaliere sarebbe una vittoria risicata del No e forse persino del Sì, in modo che nessuno si senta di poter avere tutte le carte in mano da giocare. E non a caso confida nelle scelte del Capo dello Stato, per quel che avverrà dopo il voto: «Deciderà Mattarella, noi con senso di responsabilità decideremo di conseguenza». Parole che cozzano con quel «Chi è Mattarella?», scandito da Salvini sabato scorso a Firenze. Il leader della Lega per ora evita lo scontro con il Cavaliere per non compromettere il risultato referendario ma dopo il 4 dicembre non farà più sconti.
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