«Te speto fora » ha ringhiato Massimo Bitonci all’ex sindaco di Padova Flavio Zanonato durante una riunione politica. Ti aspetto fuori, a Padova come a Reggio Calabria, ha un solo significato: facciamo a pugni «e vediamo chi resta in piedi». Un modo più che muscolare di risolvere le controversie politiche. Ma Bitonci, “Bito” per amici e nemici, è uno che rinvia al mittente le buone maniere di cui è impastata la città del Santo. Per questo è arrivato al capolinea di quel tram patavino che avrebbe dovuto collegare la stazione centrale e la Zip, la zona industriale, una delle grandi o medie opere alle quali si è opposto con i soliti modi sbrigativi da uomo solo al comando.
«Io sono stato eletto, voi nominati» ripete il Bito con quello sguardo orfano di sorrisi ai rappresentanti della business community patavina. E poi, per scandalizzare ancor più i suoi interlocutori, che bene o male vivono in una delle medie città più blasonate e dinamiche d’Europa, con un’industria ancora competitiva e un ateneo nato nel 1222 che adotta il motto Universa Universis Patavina Libertas (“tutta intera e per tutti la libertà di pensiero”, ndr), pianta i pugni più duri e autolesionistici: «In certe zone di Padova sembra di stare in Africa, mentre Cittadella è come la Svizzera». Va da sé che il commercialista Bito sia stato sindaco di Cittadella, Sitadea in dialetto, 20mila abitanti contro i 500mila della grande Padova. Richiami metapolitici che settimana dopo settimana gli hanno alienato le simpatie di quel ceto medio che lo aveva votato per liberarsi di Flavio Zanonato e il suo numero due, reggente per un anno durante il quale Flavio prese possesso del ministero delle Attività produttive del governo Letta.
Parole pesanti, che non sono piaciute ai padovani e nemmeno ai consiglieri della sua stessa maggioranza, con la quale Bito è in lotta dal giorno dell’insediamento. Un fronte conflittuale con l’esterno si può anche gestire, ma se dichiari guerra anche tra le stanze di Palazzo Moroni, la sede del Comune di Padova proprio di fronte al sontuoso palazzo del Bo, significa che nella visione del mondo dell’ex sindaco di Padova fanno fatica a insinuarsi parole come dialogo, metodo, carisma. La conseguenza? Quattro assessori leghisti e forzisti cacciati su due piedi e il suo alleato prezioso del primo turno, l’ex senatore di An Maurizio Saia, retrocesso da vicesindaco in pectore ad assessore alla Sicurezza, con il raddoppio di marcatura del capo dei vigili urbani, Antonio Paolocci, prelevato direttamente dalla svizzera Cittadella. Il messaggio è chiaro: non mi fido di nessuno e me ne infischio degli accordi politici. Tanto dovete sostenermi per forza.
Ovvio che i suoi gliel’abbiano giurata. Uno a uno gli alleati annusano il vento della disaffezione e complottano le dimissioni. Bito ci mette del suo, e rimane impantanato sul passaggio alla Regione dei terreni del nuovo ospedale di Padova Est, lungaggini sulle quali lo critica anche Luca Zaia, uno che in teoria dovrebbe essergli non ostile. Non parliamo della triade che regge Padova: il rettore dell’università Rosario Rizzuto, il presidente della Camera di Commercio Ferdinando Zilio, e il presidente degli industriali Massimo Finco: «Aspettiamo le opere strategiche da vent’anni. Non ce ne sono altrettanti a disposizione». Irrigidimenti estranei ai padovani, che non vedono l’ora di voltare pagina. Solo che la politica sembra aver esaurito tutte le sue cartucce. Il colpo a vuoto di Zanonato, che si gode il crepuscolo a Strasburgo, ha generato il Bito leghista di Sitadea. Per chi suoneranno ora le campane?
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