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Renzi: se perdo, no governi tecnici o di scopo

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Renzi: se perdo, no governi tecnici o di scopo

  • –Emilia Patta

ROMA

«Io ho 41 anni e sono a Palazzo Chigi per cambiare le cose, a galleggiare ci pensino altri». Dopo parecchie settimane di silenzio sul suo futuro in caso di vittoria del No al referendum, Matteo Renzi torna ad evocare senza neanche troppe metafore le sue dimissioni da Palazzo Chigi se dovesse perdere la battaglia sulla riforma della seconda parte della Costituzione con l’abolizione del Senato elettivo e il superamento del bicameralismo perfetto.

Il tentativo di “spersonalizzare” non sembra andato a buon fine, a voler fare affidamento sui sondaggi. Nella rilevazione Cise-Sole 24 Ore pubblicata ieri, in particolare, emerge con chiarezza che l’elettorato si sta posizionando pro o contro il governo a prescindere dai contenuti, visto che la maggioranza approva nel merito i punti salienti della riforma (il 57% promuove l’approvazione della maggior parte delle leggi da parte della sola Camera e ben l’83% giudica positivo il fatto che il governo possa chiedere alla Camera di deliberare su alcuni provvedimenti in tempi certi). E allora per il premier e segretario del Pd tanto vale passare all’attacco e chiarire che non è certo il mantenimento della “poltrona” il suo obiettivo. Con l’intento, per il momento, di mobilitare quella che lui stesso chiama «la maggioranza silenziosa» con l’evocazione del salto nel buio e dell’instabilità («con il No vince la palude» e «torna l’Italietta senza voce all’estero»). E siccome la possibilità che vinca il No comincia ad essere presa sul serio a Palazzo Chigi, Renzi ci tiene a mandare da subito alcuni messaggi agli avversari esterni e interni: «Se qualcuno vuole fare strani pasticci il giorno dopo, li fa senza di me. Io non sarò quello che si mette d’accordo con altri partiti per fare un governo di scopo o un governicchio tecnico».

Non è un caso che l’ex leader del Pd Pier Luigi Bersani, punto di riferimento della minoranza interna e schierato per il No, puntualizzi che in caso di vittoria del No «c’è comunque una maggioranza politica in questo Parlamento, che rimarrà». Come a dire: i parlamentari del Pd andranno avanti anche senza Renzi, con un altro seduto a Palazzo Chigi. Ma il messaggio che manda Renzi non è di “dismissione” totale: pur dimettendosi da Palazzo Chigi manterrebbe comunque la carica di segretario del primo partito italiano e da quella posizione detterebbe le condizioni per proseguire la legislatura, e avrebbe anche l’ultima parola - magari dopo una riconferma tramite primarie - nella scelta delle candidature per il prossimo Parlamento. Un governo che metta ordine nella legge elettorale in caso di vittoria del No andrà comunque fatto prima di tornare alle urne, dal momento che resterebbe in vigore il maggioritario Italicum per la Camera e il proporzionale Consultellum per il Senato. «Ormai è evidente che si fa una legge elettorale nuova, in ogni caso - dice Renzi -. E questo elimina anche il problema del combinato disposto». Senza governo tecnico o di scopo resta un governo politico. Ma i suoi escludono che Renzi possa accettare un reincarico da parte di Mattarella (l’ipotesi non è comunque da escludere). Piuttosto si indica un «governo alla Padoan», di intese più o meno larghe, che il leader del Pd potrebbe influenzare più di un esecutivo tecnico.

Intanto avanti con la campagna referendaria, in un tour de force nelle città italiane (ieri Sardegna, oggi Puglia) e nelle trasmissioni tv. Dall’Agcom arriva però un primo stop: il Garante delle Comunicazioni ha chiesto alla Rai l’elenco dei prossimi ospiti di Fabio Fazio dopo l’ultima puntata di domenica con Renzi per valutare il rispetto della par condicio. Pronta la replica della Rai, che oggi renderà noti i nomi richiesti: nello studio di Fazio ci sarà, «come già previsto», un esponente del No.

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