La speranza era quella di tenere un basso profilo almeno fino al referendum e poi risolvere il pasticcio siciliano. Ma l’accelerazione della procura di Palermo sulla vicenda delle firme false per la lista M5S alle comunali del 2012 e l’approdo domenica a Messina del “trenotour” per il no al referendum ha costretto i vertici del Movimento alla linea dura: «Chiediamo a tutti gli indagati nell’inchiesta di Palermo di sospendersi immediatamente dal Movimento 5 Stelle non appena verranno a conoscenza dell’indagine nei loro confronti a tutela dell’immagine del Movimento e di tutti i suoi iscritti».
La «Comunicazione del M5S» è apparsa nel pomeriggio di ieri sul blog di Grillo come post scriptum a un post di Luigi Di Maio dedicato agli aiuti per il terremoto. A seguire, l’indirizzo email al quale comunicare la sospensione: listeciviche@movimento5stelle.it
La svolta è arrivata dopo giorni di silenzi, imbarazzi e minimizzazioni, ma anche di un progressivo isolamento del gruppo dei parlamentari coinvolti, sul piede di guerra contro i vertici. Beppe Grillo, nell’intervista rilasciata a Euronews la scorsa settimana, aveva detto: «Le firme sono state copiate, da Oscar della stupidità. Non riusciamo neanche a essere disonesti». I fatti sono precipitati velocemente: prima la notizia di indagati (almeno otto), poi la confessione della deputata regionale all’Ars Claudia La Rocca, prima e unica ieri a comunicare la sua sospensione, infine l’annuncio che da lunedì cominceranno gli interrogatori davanti al pool coordinato dal procuratore aggiunto Bernardo Petralia e dalla pm Claudia Ferrari.
La Rocca, nei giorni scorsi, aveva ammesso le proprie responsabilità e fatto i nomi degli altri presenti con lei la notte del 3 aprile 2012, quando le firme sarebbero state ricopiate in fretta e furia per rimediare a un errore materiale sul luogo di nascita di un candidato e consentire la presentazione della lista. Nel mirino le deputate nazionali Claudia Mannino e Loredana Lupo e l’aspirante candidata sindaco per le comunali della prossima primavera, Samantha Busalacchi. Insieme a loro, dalle audizioni sono emersi altri nomi, quelli di chi avrebbe saputo e sarebbe stato in qualche modo partecipe: l’allora candidato sindaco, Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Chiara Di Benedetto, oggi tutti alla Camera. I deputati ieri sono rimasti silenti. E ostinati: nelle scorse settimane, dopo i servizi delle Iene che hanno fatto riaprire il caso grazie alle rivelazioni dell’ex attivista Vincenzo Pintagro, si sono definiti «parte lesa». In cinque hanno presentato querela contro la trasmissione. Secondo fonti M5S, sono contrari all’autosospensione perché temono che suoni come un’ammissione di colpa e che possa danneggiarli in un eventuale processo. Anche se è già sul tavolo dei vertici Cinque Stelle l’ipotesi dell’espulsione in caso di rinvio a giudizio. Il reato contestato dagli inquirenti è quello di violazione dell’articolo 90, comma 2, del Testo Unico 570/1960, che punisce da due a cinque anni «chiunque forma falsamente in tutto o in parte liste di elettori o di candidati» e chiunque usa gli atti falsificati, alterati o sostituiti, anche se non ha concorso alla falsificazione.
Di Maio e Alessandro Di Battista hanno detto di non conoscere i nomi degli indagati. Con la richiesta di autosospensione «abbiamo dimostrato che non facciamo sconti a nessuno», ha però sostenuto il vicepresidente della Camera. Certo è che le nuove frizioni dentro il M5S non giovano: rischiano di indebolire la corsa dei Cinque Stelle per le regionali in Sicilia del 2017 e danno al Pd l’occasione per infierire con una raffica di attacchi. Il premier Matteo Renzi ha commentato: «Sono fatti loro. Io sono un garantista. Penso solo che se fosse successo a noi...».
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