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I ritardi del Sud restano la vera sfida

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L'Editoriale|l’analisi

I ritardi del Sud restano la vera sfida

Due rapporti e l’anticipazione di un terzo studio, la scorsa settimana, hanno seminato preoccupazioni e dubbi sulla reale qualità complessiva della nostra sanità pubblica. Che secondo «Meridiano Sanità» di Ambrosetti House è penultima accanto al Portogallo e solo poco più su della Grecia per i servizi del Ssn. Mentre secondo I-Com (Istituto per la competitività) è appena diciottesima per lo sviluppo dell’e-health, la sanità elettronica vera chiave del futuro per strutture, assistiti e operatori. Infine, le anticipazioni del prossimo rapporto dell’Osservatorio della Cattolica fatte dal presidente dell’Iss, Walter Ricciardi, raccontano più di tutto quanto l’Italia della salute sia spaccata in due e quanto il Sud continui a pagare proprio in termini di accesso alle cure: in Campania e Sicilia l’aspettativa di vita è alla pari con Bulgaria e Romania, mentre il Trentino e in parte le Marche stanno al passo con la Svezia.

Già, il Sud, cioè la parte più debole del Paese, i cui cittadini non solo pagano i ritardi infrastrutturali e le inefficienze più pesanti, ma hanno anche meno possibilità di cura, meno servizi per la salute e, proprio per i debiti accumulati in anni e anni di sprechi, ruberie e vite da cicala, sono anche i più tartassati da ticket e super addizionali fiscali. Hanno meno servizi, ma pagano di più. In balzelli e cure dovute. Un moltiplicatore di diseguaglianze che deve far riflettere chi ci governa. A Roma come in periferia.

È (anche) in questo quadro che si inseriscono i nuovi Livelli essenziali di assistenza che scatteranno il prossimo anno.

Magari (certamente?) ancora a macchia di leopardo, ma che dopo 15 anni di incredibile attesa - quelli attuali risalgono al 2001 - potrebbero offrire chance in più agli italiani. Ma anche, stiamo attenti, qualche taglio e ticket mai graditi. Nel nome dell’appropriatezza delle cure. E dei risparmi.

I Lea, insomma, dovranno essere finalmente un banco di prova di quella equità ed eguaglianza delle cure che, in nome dell’articolo 32 della Costituzione, sono un diritto ineliminabile dei cittadini. Un diritto da esigere e da riscuotere dappertutto in Italia. Cosa che adesso non è. E che però, stiamone certi, sicuramente non diventerà realtà di punto in bianco. Sempre che mai ce la si possa fare.

Diritti che oggi sono sulla carta, ma che nella realtà, soprattutto da Roma in giù, sono poco più che un sogno. A dispetto però - perché non è il caso e neppure giusto ed esatto crocifiggersi sempre e comunque a priori - dei passi in avanti che nel Servizio sanitario nazionale comunque sono stati compiuti in questi anni. Anche nel Sud sempre in affanno, talvolta pericolosamente in affanno. Come del resto anche al Nord, dove la malavita e la corruzione hanno bene attecchito in sanità, un piatto da 113 miliardi di spesa pubblica e di almeno altri 34 di spesa privata. Miele che fatalmente attira le mosche.

L’Oms aveva benevolmente regalato addirittura il secondo posto mondiale al Ssn nei primi anni del secolo. Un voto alto, forse troppo. E certamente, diciamolo, i voti bassi, bassissimi, di questi ultimi giorni, sono a loro modo ingenerosi. Ma vanno letti soprattutto per interpretare la realtà e inquadrare sempre meglio quel che manca e che va affrontato con urgenza nel sistema di cure del nostro Paese.

In questo senso, il dramma e la vergogna delle liste d’attesa, dei nuovi farmaci che da una parte arrivano presto e altrove o arrivano con il contagocce o rallentano pericolosamente per essere concessi a chi ne ha bisogno, le smagliature incresciose per un ricovero o per accedere al pronto soccorso, sono purtroppo il vissuto nazionale di una sanità a ventuno velocità. Che non può più essere. E che chissà se i nuovi Lea affronteranno di petto.
C’è da dubitare che sarà un successo totale. O addirittura parziale. Ma è ciò che è dovuto agli italiani, anzitutto a chi le tasse le paga. Questione di diritti. E di civiltà.

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