L'Italia è l'unico Paese dell'Unione europea con due Camere che hanno gli stessi poteri. Non esiste ragione valida che giustifichi questa anomalia. Non è un caso che il superamento del bicameralismo paritario sia stato un obiettivo perseguito invano per decenni. In realtà molti avrebbero preferito l'abolizione tout court del Senato. Ma questo avrebbe prodotto un’altra anomalia. Saremmo stati l’unica grande democrazia europea (come popolazione) con un sistema monocamerale. Si è preferito un’altra strada: quella della differenziazione funzionale delle due camere. Con un triplice obiettivo in mente: l’eliminazione del rischio di maggioranze diverse tra le due camere, la semplificazione del processo legislativo e la creazione di una sede in cui regioni e comuni possano far sentire la loro voce al centro.
Il primo di questi obiettivi è quello meno controverso. Dopo la riforma la fiducia al governo sarà prerogativa della sola Camera dei deputati. Scompare il rischio di un parlamento diviso. Quanto alla semplificazione del processo legislativo il punto è questo: la gran parte delle leggi che riguardano l’attività di governo, e cioè pensioni, scuola, fisco, sanità, diritti civili ecc. sarà approvata solo dalla Camera. In questi casi il Senato potrà proporre modifiche in tempi certi, ma sarà la Camera ad avere l’ultima parola. Questo sarà il procedimento principale che caratterizzerà i lavori del nuovo parlamento. Favorirà da una parte la riduzione dei tempi di approvazione delle leggi e dall’altra la trasparenza delle decisioni. Senza il ping pong tra le due camere le lobbies avranno molte meno possibilità di influenza.
Questo procedimento non sarà però l’unico. Va da sé che le procedure legislative siano più d’una per il semplice motivo che il Senato conserva una competenza paritaria rispetto alla Camera su alcune materie. Sono quelle puntigliosamente elencate nel tanto denigrato art. 70 di cui si riporta la “traduzione” nella tabella in basso. Su queste materie Camera e Senato dovranno decidere insieme. Esattamente come avviene oggi. Per alcuni è un elenco così striminzito da dire che tanto valeva abolire completamente il Senato invece di lasciarlo in piedi come un guscio vuoto. Per altri invece il nuovo Senato conserva troppi poteri, per cui i vantaggi attesi dalla riforma non compensano i problemi che potrebbero nascere da un bicameralismo che tanto differenziato non è. Questo per dire quanto ampio sia lo spettro delle opinioni critiche. Non c’è da sorprendersi. La stessa cosa è accaduta nel 1947 quando la Costituzione fu approvata, e ancora negli anni immediatamente successivi.
L’opinione più sensata su questa questione, come su altre, è che non esistono certezze apodittiche su ciò che una seconda camera debba o non debba fare. La lista delle materie su cui il Senato ha gli stessi poteri della Camera avrebbe potuto essere diversa. I referendum avrebbero potuto essere esclusi. Ma è proprio scandaloso il fatto che siano stati inclusi? Sono le scelte politiche e i compromessi parlamentari ad avere determinato la lista in questione. Una lista diversa sarebbe stata legittima, ma ciò che conta è che l’obiettivo della semplificazione del processo legislativo non viene compromesso da queste scelte. Come abbiamo già osservato, sarà solo la Camera a decidere sulle politiche che interessano più da vicino e con più continuità l’azione di governo.
D’altronde, una volta deciso che il nuovo Senato debba essere la sede di rappresentanza delle istituzioni territoriali, è logico che esso abbia un peso identico alla Camera sulle materie che interessano direttamente il funzionamento di regioni, comuni e città metropolitane nonché i loro rapporti con lo stato da una parte e con l’Unione europea dall’altra. Questo è per l’appunto il blocco più corposo di competenze sulle quali il nuovo Senato ha la possibilità di far sentire la sua voce. Con quanta efficacia riuscirà a farlo dipenderà molto dagli uomini e dalle donne che dovranno inaugurare questa nuova istituzione. La scommessa è tutta qui.
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