Economia

Dossier «Tigem polo d’attrazione per ricercatori»

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    Dossier | N. 3 articoliRapporto Campania

    «Tigem polo d’attrazione per ricercatori»

    L’eccellenza con vista mare. Potrebbe essere ribattezzato così - parafrasando il titolo che negli anni 50 fu dato alla fabbrica campana voluta da Adriano Olivetti - il Tigem, l’Istituto Telethon di genetica e medicina, che dal 2014 si è trasferito «in questa fantastica sede, l’ex area Olivetti di Pozzuoli, oggi riconvertita a polo di alta formazione tecnologica e scientifica» ci racconta Andrea Ballabio, alla guida del Centro di ricerca fin dai suoi albori e professore ordinario di genetica medica al dipartimento di Pediatria dell’Università Federico II di Napoli.

    Ballabio nel 1994 era negli Stati Uniti già da sette anni e non aveva alcun interesse a tornare in Italia, «ma mi è stata fatta una proposta molto interessante e allettante dal punto di vista delle potenzialità di libertà di gestione - ricorda il genetista -, così ho accettato con entusiasmo trasferendomi dal Centro genoma umano del Baylor college of medicine di Houston al San Raffaele di Milano, prima sede del Tigem. Dopodiché, nel 2000 è stata fatta una scelta controcorrente, ovvero quella di trasferire l’intero Istituto da Milano a Napoli, dove ci è stato offerto uno spazio molto più significativo, con partnership importanti con il Cnr e le università locali, sia la Federico II, sia la Seconda università di Napoli». Con quale impatto per la città?

    «I napoletani - continua Ballabio - hanno imparato a conoscere la Fondazione Telethon e l’eccellenza del Tigem, che viene considerato un punto di orgoglio della regione Campania (questo feedback è tangibile e ci arriva da molte parti, dalle scuole alle università), ma soprattutto rappresenta un polo d’attrazione per i giovani ricercatori napoletani, per coloro che sono andati all’estero ma anche per gli scienziati stranieri, che nella nostra struttura rappresentano al momento il 15% dei ricercatori, e arrivano da tutto il mondo: Russia, Stati Uniti, Sudamerica, Cina, Giappone fino all’Australia, oltre che da tutta Europa».

    Negli oltre 4.500 metri quadrati ci sono quattro grandi laboratori di ricerca open space, uffici, un auditorium e aree creative dove si possono incontrare le 220 persone che lavorano per l’Istituto, che concentra la propria missione sulla comprensione dei meccanismi di base delle malattie genetiche, per poi sviluppare strategie preventive e terapeutiche. La ricerca si focalizza in particolare su malattie dell’occhio e su quelle metaboliche con approcci che fanno riferimento a genetica molecolare, biologia cellulare, biochimica delle proteine, bioinformatica, genomica funzionale, biologia dei sistemi e terapia genica. Una ricerca di altissimo livello che ha bisogno di personale molto qualificato e di strumentazioni sofisticate. Come si sostiene?

    L’Istituto è organizzato per essere autosufficiente. «Quando è nato il Tigem - riprende Ballabio - il finanziamento Telethon copriva oltre il 95% del nostro budget (a oggi la Fondazione ha investito 62 milioni di euro, ndr), ma ci siamo resi conto fin da subito che dovevamo reperire fondi con le nostre forze, competendo a livello internazionale con i nostri progetti. Abbiamo acquisito esperienza e successo e oggi circa il 75% del budget dell’Istituto viene da fondi che ci procuriamo competendo a livello internazionale». A confermare la capacità del Tigem di attrarre finanziamenti - dall’Unione europea e da prestigiosi enti internazionali come i Nih statunitensi, la Fondazione europea di biologia molecolare (Embo), il Wellcome Trust - ci sono i 9 grant ottenuti dall’European research council (Erc), sovvenzioni che vengono date a singoli ricercatori per un progetto: le dotazioni vanno dal milione e mezzo ai 2,5 milioni di euro per cinque anni. Gli scienziati che hanno vinto gli Erc grant possono insegnare all’Università, il che significa creare un circolo virtuoso della conoscenza a livello del territorio.

    Altra voce importante sono le collaborazioni industriali, grazie alle quali è possibile passare dalla ricerca alla terapia. «La collaborazione più importante è stata avviata con la multinazionale Shire di Boston, la quale ha deciso di investire 22 milioni di dollari per portare avanti 9 progetti quinquennali tutti focalizzati sulle malattie rare, ma con approcci diversi: dalle nuove terapie farmacologiche alla terapia genica. Questo investimento - conclude Ballabio - per noi significa poter reclutare giovani ricercatori e accelerare la ricerca per portarla al letto del malato».

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