«Se vince il Sì costruiremo finalmente una democrazia decidente, perché chi vince le elezioni deve essere messo in condizione di governare. C’è un’antica ostilità della sinistra verso la democrazia decidente. Ma una democrazia che non decide non è una democrazia; una democrazia che si esaurisce nella rappresentanza è solo teatro». Luciano Violante non può certo ascriversi, se non altro per la sua storia, alla categoria dei “renziani” del Pd: ex magistrato, parlamentare del Pci già nel lontano 1979, presidente della commissione Antimafia dal ’92 al ’94, presidente della Camera dal ’96 al 2001, Violante lega tra l’altro il suo nome alla bozza di riforma costituzionale che fu approvata in commissione Affari costituzionali della Camera nel 2007 da tutti i partiti del centrosinistra raccolti nell’Unione di Romano Prodi.
Presidente, dopo 70 anni sta ora agli italiani decidere se superare il bicameralismo paritario. Che cosa comporta la riforma del Senato nei rapporti tra il governo e il Parlamento? Si può dire che viene rafforzata la governabilità?
La forma di governo non viene cambiata, i poteri del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio restano immutati, ma la riforma favorisce fortemente la stabilità di governo. L’esistenza di un Senato eletto direttamente e “ripetitivo” nelle funzioni e nei poteri rispetto alla Camera è una incongruenza che don Luigi Sturzo mise in rilievo già ai tempi della Costituente. Basti pensare che nel ’94 Berlusconi vinse alla Camera ma non al Senato, che nel ’96 Prodi vinse al Senato ma non fu autosufficiente alla Camera, che nel 2006 sempre a Prodi accadde il contrario e che nel 2013 ancora Bersani vinse alla Camera ma non in Senato. La conseguenza è che oggi il governo si deve reggere al Senato grazie ad una scissione di Forza Italia guidata dal senatore Verdini.
Solo la Camera dà la fiducia e il Senato rappresenta Regioni e Comuni. Che cosa cambia, in pratica?
Si tratta di due sistemi diversi. Il punto fondamentale è che la sola Camera dei deputati è titolare del rapporto di fiducia con il governo ed esercita la funzione di indirizzo politico: per questo il nuovo Senato, che rappresenta le Regioni e i Comuni e non la Nazione, non può essere eletto direttamente. Ma proprio per il fatto che non è legato al governo dal rapporto di fiducia il nuovo Senato può esercitare una funzione di controllo reale: con lo strumento del richiamo delle leggi innanzitutto, che la Camera non potrà ignorare anche se avrà comunque la parola definitiva. Con il potere di raccordo tra Stato e Regioni, inoltre, la seconda Camera contribuisce al consolidamento dell’unità nazionale. Il nuovo Senato inoltre valuta le politiche pubbliche e concorre a verificare l’attuazione delle leggi dello Stato. Se ad esempio i futuri senatori dovessero giudicare sbagliata la politica dell’ambiente, questo giudizio avrebbe una ricaduta politica sulla Camera e sull’opinione pubblica. E va sottolineato che la riforma prevede che i futuri senatori siano eletti dai Consigli regionali «in conformità alle scelte degli elettori»: saranno dunque gli elettori stessi a decidere chi li rappresenterà in Senato.
È stato un errore non aver rafforzato i poteri del premier come prevedeva la sua bozza?
Chi ha il consenso deve avere anche gli strumenti per governare. Io avrei previsto la sfiducia costruttiva e la possibilità per il presidente del Consiglio di chiedere al Capo dello Stato la revoca dei propri ministri.
© Riproduzione riservata