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Dossier «Dietro il voto a data certa c’è un piccolo golpe bianco»

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Dossier | N. 118 articoliReferendum costituzionale

«Dietro il voto a data certa c’è un piccolo golpe bianco»

Danilo Toninelli. (Fotogramma)
Danilo Toninelli. (Fotogramma)

Dietro il voto a data certa previsto dalle riforme costituzionali per i disegni di legge essenziali per l’attuazione del programma «c’è una sorta di piccolo golpe bianco»: «Si modifica la forma di governo di un Paese senza dirlo esplicitamente all’interno della Costituzione, perché non saremmo più in una repubblica parlamentare ma in una sorta di ultrapresidenzialismo dove il capo del governo decide anche per il Parlamento». È durissimo il deputato M5S Danilo Toninelli, componente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, quello tra i pentastellati che ha seguito più da vicino il lavoro sulla legge Boschi e sull’Italicum.

Il nuovo articolo 72 della Costituzione prevede che il governo possa chiedere alla Camera di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che l’esame di un ddl essenziale per il programma sia concluso entro i successivi 70 giorni. Per i fautori del sì è una grande opportunità per snellire il lavoro parlamentare. Per voi?
Per noi significa permettere al governo di costituzionalizzare il ricorso abusivo alla decretazione d’urgenza. Hanno previsto che il governo, senza più i requisiti di straordinaria necessità e di urgenza che in teoria sarebbero previsti oggi per i decreti legge, potrà fare qualsiasi cosa. Significa che l’esecutivo si mangia la funzione legislativa garantita al Parlamento. È una cosa grave, una sorta di golpe bianco.

Al tempo stesso però, nella riformulazione dell’articolo 77 sulla decretazione d’urgenza si depotenzia il ricorso abusivo al decreto legge, a cui da anni siamo abituati, perché si circoscrivono i casi in cui si può ricorrervi. Non c’è un bilanciamento?
Ma è ovvio: nel momento in cui si costituzionalizza una procedura abusiva inserendo in Costituzione il provvedimento con voto a data certa senza i requisiti di necessità e di urgenza, è normale che il decreto legge non serva più e possa essere depotenziato. La cosa grave è che lo hanno sostituito con un provvedimento diverso. Noi vogliamo una democrazia in cui sono i rappresentanti del popolo, cioè gli eletti, a dover incidere nella produzione e nell’approvazione delle leggi, e non il governo. Perché la storia ci ha insegnato che quando sono pochi a decidere decidono sempre per loro stessi.

Questo passaggio non è mitigato in fondo dal fatto che il nuovo Senato mantiene alcune funzioni importanti anche nel procedimento legislativo potendo chiedere di esaminare ogni provvedimento?
Già questo fa capire che c’è uno stato totale di complicazione nella procedura di formazione delle leggi, perché l’incidenza del Senato potrebbe essere nulla se la maggioranza sarà uguale a quella della Camera o potrebbe trasformarsi in un ostacolo fino a portare al blocco istituzionale del Paese se la maggioranza fosse diversa. Ricordiamo che la composizione del Senato, con i cento nuovi senatori, cambia costantemente con le elezioni dei nuovi consigli regionali, quindi la differenza di maggioranze è probabile. Siamo su un piano di complessiva instabilità istituzionale.

Ma a vostro avviso l’Italia non ha la necessità di snellire e accelerare l’iter legislativo?
L’esigenza dell’Italia è quella di fare leggi buone, condivise con i cittadini, che rispondano ai loro bisogni, che durino vent’anni e che siano facilmente comprensibili. Il cancro dell’Italia è che ci sono tra le 150mila e le 300mila leggi, fatte apposta per dare voce ai poteri degli intermediari, che possono essere i burocrati di Stato, i notai, i commercialisti, gli altri uffici di intermediazione. La riforma propone strumenti per fare le leggi più velocemente, sempre che le maggioranze tra le Camere coincidano, in uno Stato che ha il problema di un iperproduzione legislativa. Noi diciamo che le leggi vanno scritte bene, a vantaggio dei cittadini, e che devono essere comprensibili. Scriverle più velocemente vuol dire alimentare il caos: ancora meno imprese apriranno e investiranno in Italia e i cittadini avranno bisogno ancora di intermediari perché sarà impossibile capire anche come si fa a pagare le tasse.

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