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Dossier Poteri meno frammentati per un governo più efficiente e responsabile

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Dossier | N. 118 articoliReferendum costituzionale

Poteri meno frammentati per un governo più efficiente e responsabile

(Bloomberg)
(Bloomberg)

Un governo debole ma prepotente. In questo modo è stata descritta la posizione del governo italiano nei confronti del Parlamento. La debolezza dell’istituzione governo è una delle caratteristiche del modello di democrazia disegnato dalla Costituzione del 1947.

Un modello imperniato da una parte sulla paura del tiranno e dell’uomo solo al comando; dall’altra dalla paura che, in un paese profondamente diviso come era l'Italia di allora, una parte politica potesse acquisire una posizione troppo dominante. Dalla combinazione di queste paure è disceso un modello fondato sulla frammentazione dei poteri. La centralità del parlamento e la corrispondente debolezza del governo sono elementi di questo modello. Il risultato è stato un sistema politico in cui le opposizioni, e in particolare quella social-comunista, hanno partecipato sistematicamente alla formazione delle leggi in un rapporto di scambio continuo con la Democrazia cristiana.

Sopravvivere senza governare è il titolo di un bel libro scritto negli anni della Prima Repubblica che descriveva un modello di democrazia polarizzata e allo stesso tempo consociativa. Allora quel modello ha svolto una funzione positiva di integrazione nel sistema di quei partiti che erano formalmente esclusi dal governo del paese. Ma allo stesso tempo ha deresponsabilizzato chi governava e non aveva gli strumenti per farlo efficacemente. L’abnorme crescita del debito pubblico si deve anche a questo fattore.

Oggi le condizioni che giustificavano il consociativismo di quegli anni non esistono più. Oggi occorre governare per sopravvivere. È questo uno degli obiettivi principali della riforma costituzionale. E uno degli strumenti per perseguirlo è il rafforzamento - molto relativo - del governo in parlamento. Non è che negli anni della Seconda Repubblica nulla sia cambiato. Di fronte alle sfide – a volte drammatiche - che i vari esecutivi a partire dal 1992 hanno dovuto affrontare il governo è diventato prepotente. È passato da una posizione di debolezza ad una di forza attraverso l’uso distorto di decreti legge e voti di fiducia. Senza poter disporre di strumenti normali per vedere approvati in tempi certi i suoi provvedimenti ha fatto ricorso a strumenti eccezionali previsti dalla Costituzione per soddisfare altre esigenze. Questo è particolarmente vero per i decreti leggi la cui crescita esponenziale è l’indicatore più chiaro della necessità di modificare il rapporto tra governo e parlamento. Nella intenzione dei costituenti i decreti dovevano essere lo strumento che il governo avrebbe dovuto utilizzare solo «in casi straordinari di necessità e urgenza». È stato così nelle prime legislature, ma a partire dagli anni settanta essi sono stati utilizzati sempre di più e in maniera sempre più prepotente. È così che il governo ha forzato sistematicamente la programmazione dei lavori parlamentari.

La riforma tende - timidamente - a correggere questa situazione. Infatti, l’articolo 70 dice «il governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione». In termini più semplici, questa norma prevede una sorta di corsia privilegiata per i provvedimenti del governo. Si tratta di quel «voto a data certa» criticato da tutti coloro che sono ossessivamente ancorati all’idea della centralità del parlamento e vedono in questo strumento un altro tassello di una fantomatica deriva autoritaria. L’irragionevolezza di un simile timore sta nel fatto che non sarà il governo a decidere unilateralmente su questa accelerazione del processo legislativo. Infatti la decisione se aderire o meno alla sua richiesta spetterà comunque alla camera. A fronte di questa possibilità che la riforma concede al governo sta una disciplina più severa dell’uso dei decreti legge. Per esempio, non sarà più possibile utilizzare i “decreti omnibus”. Infatti i provvedimenti di urgenza dovranno avere un contenuto «specifico, omogeneo e corrispondente al titolo». Né si potrà più proporre, al momento della conversione dei decreti, emendamenti che non hanno nulla a che vedere con il loro oggetto e la loro finalità. E così via.

In conclusione, grazie al voto a data certa, l’uso dei decreti legge e dei voti di fiducia dovrebbe essere riportato dentro un quadro di rapporti più funzionale in cui le responsabilità del governo e quelle del parlamento sono più nettamente distinte. E proprio questo è uno degli obiettivi complessivi della riforma: favorire la creazione di governi più efficienti ma anche più responsabili. È un passo verso un modello di democrazia in cui il potere è un pochino meno disperso e un pochino più concentrato. A questo servono il superamento del bicameralismo e il rafforzamento della capacità decisionale del governo. La dispersione del potere è servita in passato a consolidare le istituzioni democratiche in una fase difficile della nostra storia. Oggi serve solo a perpetuare rendite di posizione legate alla presenza di troppi poteri di veto che alimentano immobilismo e irresponsabilità.

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