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Mafia, amministrazione giudiziaria per la Bcc di Paceco

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dda di palermo

Mafia, amministrazione giudiziaria per la Bcc di Paceco

Porta il nome dell’intellettuale e senatore Pietro Grammatico, ma la Bcc di Paceco in provincia di Trapani era una banca al servizio della mafia. Quella che fa capo a Matteo Messina Denaro, il latitante che continua a controllare il territorio della Sicilia occidentale. Almeno così la pensano i magistrati della direzione distrettuale antimafia di Palermo che hanno chiesto e ottenuto dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani l’amministrazione giudiziaria dell’istituto di credito in applicazione dell’articolo 34 del Codice antimafia. Ed è la prima volta che un istituto di credito viene sottoposto a misura di prevenzione antimafia.

Il decreto è stato emesso su richiesta della Procura della Repubblica di Palermo, nelle persone del procuratore capo Francesco Lo Voi, del procuratore aggiunto Bernardo Petralia e del sostituto procuratore Francesco Gualtieri. Oltre alla sede di Paceco, l’Istituto che è stato affidato all’amministratore giudiziario Andrea Dara e a Pricewaterhouse Coopers, ha complessivamente cinque filiali tra Trapani, Marsala, Dattilo e Napola: la banca, che recentemente era stata acquisita dalla Banca Don Rizzo di Alcamo, aveva programmato un piano di risanamento che passava dall’accensione di un grosso prestito, ed era stato costituito anche un comitato di cittadini e autorità locali per salvare l’istituto.

L’indagine è partita dall’analisi dei rapporti che l’istituto di credito ha intrattenuto e continua ad avere con il mafioso Filippo Coppola detto “u' professuri” e i suoi familiari. Coppola, già condannato nel 2002 per associazione a delinquere di stampo mafioso, è ritenuto elemento di spicco di Cosa Nostra nell'ambito della famiglia mafiosa di Paceco ed è figlio di Giacomo Coppola (detto Gino), uomo d’onore di Paceco, a casa del quale nel 1996 si svolse, secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori, un summit tra Matteo Messina Denaro, Giovanni Brusca, e Nicola Di Trapani.

Nelle indagini, condotte dal nucleo di polizia tributaria dalla Guardia di finanza di Palermo guidato dal colonnello Francesco Mazzotta, i militari si sono avvalsi del software chiamato Molecola, in grado di incrociare i dati di chi aveva rapporti con l’istituto di credito: su 1.600 soci, 326, compresi alcuni rappresentanti, avevano precedenti penali e 11 di questi erano legati alla criminalità organizzata. Tra i casi clamorosi scoperti, un prelievo in contanti di 120 mila euro fatto dalla cognata del pentito di mafia Francesco Milazzo. Alla Banca d’Italia che chiedeva spiegazioni,l’istituto di credito ha riposto che l’operazione era stata consentita perché «era prevalsa la conoscenza del carattere della cliente suggestionata dalle notizie sulla crisi dei mercati». Altra operazione “strana” è stata la transazione concessa a Pietro Leo, indiziato di mafia, che aveva stipulato un mutuo di 237 mila euro e ha ottenuto di restituirne 135 mila in 10 anni. La figlia era dipendente della banca.

«Il provvedimento del tribunale di Trapani, che accoglie una nostra istanza – ha detto il procuratore Franco Lo Voi -, prosegue la linea che da tempo perseguiamo e che punta sul rafforzarsi delle indagini finanziarie, sulla ricerca dei flussi illeciti e sull’approfondimento degli strumenti finanziari leciti e illeciti che usa la criminalità organizzata. La Banca è stata gestita e amministrata negli ultimi anni, e addirittura dalla sua creazione, da soggetti in contatto con ambienti legati alla criminalità organizzata o da soggetti ritenuti vicini alla mafia».

Sono state ignorate anche le ispezioni eseguite dalla Banca d’Italia, come spiega ancora il Procuratore capo. Un’ispezione è stata fatta nel 2010 e l’altra nel 2013. «Le raccomandazioni che la stessa Banca d’Italia aveva indirizzato alla banca di Paceco - dice Lo Voi - sono state ignorate se non attraverso un rispetto o un adeguamento formale e parziale, insomma sono stati ripetutamente trascurati gli obblighi previsti dalla normativa anti riciclaggio». «Sono emersi anche dei collegamenti con la massoneria - dice il Procuratore aggiunto Dino Petralia - non sappiamo se ci sono collegamenti anche con la massoneria non ufficiale. È la prima volta che una banca finisce sotto amministrazione giudiziaria».

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