Economia

Dossier La finanza alternativa che piace ai private

  • Abbonati
  • Accedi
    Dossier | N. 9 articoliRapporto Private Banking

    La finanza alternativa che piace ai private

    Il crowdfunding guadagna terreno. E i clienti private banking iniziano ad accorgersene. Secondo dati Consob, il 18% delle famiglie italiane si dice interessato agli strumenti di “finanza alternativa”: gli investimenti che esulano dai prodotti tradizionali e sfruttano formule come i prestiti peer-to-peer (i finanziamenti tra privati) e lo stesso crowdfunding, le raccolte fondi collettive per progetti e imprese. Un’attenzione che si fa anche più evidente su scala globale, dove gli investimenti nel settore potrebbero toccare il picco di 250 miliardi di euro annui nel 2016.

    Ma perché i nuovi canali di funding dovrebbero attrarre anche il target degli individui ad alto reddito, accomunati da portafogli che vanno da un minimo di 500mila euro in su? Secondo Alessandro Lerro, avvocato esperto di tecnologie e fondatore dello studio Lerro&Partners, la spinta su forme di investimento innovative coincide con la crisi (o la saturazione) dei canali già esplorati. Il dato della crescita del crowdfunding, dice Lerro, emerge proprio «nel momento in cui la liquidità ferma sui conti bancari e postali raggiunge un picco storico e ». Segno che anche i clienti con più disponibilità iniziano a guardare altrove, come già succede con le startup (si legga l’articolo sotto). Le scommesse su imprese più o meno innovative possono implicare gradi di rischio elevati, ma anche ritorni significativi e la possibilità di inserirsi in nuove strategie di business.

    «È il momento di convogliare risorse finanziare improduttive - almeno in parte - sull’economia reale – dice Lerro - come sta succedendo nel resto del mondo, contribuendo allo sviluppo delle piccole e medie imprese e alla creazione di nuovi posti di lavoro».

    Il problema, semmai, è nel metodo adottato dagli investitori per valutare la bontà di un progetto prima di qualsiasi impegno economico. I clienti di fascia private devono filtrare l’interesse naturale per un certo progetto con delle garanzie sul futuro: se è impossibile pronosticare il successo delle imprese, si può almeno fare una diagnosi della sua solidità. Lo conferma Nicola Lencioni, fondatore e amministratore delegato della piattaforma di crowdfunding Eppela: «Se investo vorrei un minimo di verifica, di controllo – dice –. Insomma, la possibilità di testare il prodotto». Come? Secondo Lencioni, è fondamentale passare per una fase di crowdfunding reward-based (la raccolta fondi che prevede un premio ai finanziatori) prima di sbilanciarsi sull’equity crowdfunding (la raccolta di capitali vera e propria). «Bisogna dimostrare che c’è una base solida, permettendo anche all’investitore inesperto di capire dove mettere i soldi – dice Lencioni – Ad esempio, se un progetto raccoglie 100mila euro con un crowdfunding reward-based sarà probabilmente un buon investimento. All’estero fanno già così, e funziona». Più cresce il patrimonio, però, e più l’investitore rischia di sentirsi stretto in campagne di raccolta online come nel modello del crowdfunding.

    Ed è qui che entrano in gioco le alternative per i clienti private, sempre nel solco della finanza alternativa: gli stessi prestiti fra privati del peer-to-peer o la formula del club deal: i “club di investimento” dove i cosiddetti high net worth individual, le persone ad alto reddito, possono riunirsi per investire parte del patrimonio in progetti con impatto sull’economia reale. I vantaggi? Secondo Lerro, sono soprattutto due: potersi mettere in gioco con somme più importanti e spaziare anche in settori più tradizionali rispetto a quelli presidiati da startup innovative. «Dobbiamo chiarire cosa intendiamo con cliente private banking, perché può trattarsi di un patrimonio da 500mila euro o da 5 milioni di euro – dice Lerro - E rientrano nella stessa categoria». Se il portafoglio lo permette, il club deal offre margini di manovra più ampi. «Se vuoi fare una campagna di grosse dimensioni, allora forse è meglio adottare la struttura del club deal – spiega Lerro –. Ha un meccanismo che si presta meglio. Ma non escluderei comunque che si possa preferire il crowdfunding. Con le precauzioni del caso».

    © Riproduzione riservata