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Dossier La parola d’ordine è service oriented

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    Dossier | N. 9 articoliRapporto Private Banking

    La parola d’ordine è service oriented

    Passaggio generazionale, digitalizzazione e sviluppo dell’infrastruttura tecnologica, effetto della nuova regolamentazione di mercato, mercati finanziari instabili e nuove generazioni emergenti.

    Sono questi alcuni dei fattori macro che si impattano fortemente con chi fa private banking, ovvero con quegli intermediari (sono 44 i player impegnati in Italia) che si occupano della gestione delle ricchezze degli individui. Un settore, questo, che nel mondo gode ancora buona salute.

    Secondo una recente analisi, Mediobanca Securities stima che nel 2025 il private banking globale possa raggiungere i 100mila miliardi di dollari, circa il triplo rispetto ai valori del 2006 e poco meno del doppio rispetto a dove siamo oggi. «In Italia nel 2015 ha raggiunto il 68% la quota di penetrazione delle banche private in un mercato potenziale di 1.029 miliardi (stima a fine 2016, + 1,2% sul 2015) - ricorda Stefano Vecchi, presidente del comitato scientifico di Aipb - Una penetrazione che dal 2011 registra un tasso di crescita annuo composto dell’8,7%. Segnale che dimostra come la clientela hnwi apprezzi i servizi di private banking».

    Eppure l’industria va incontro a cambiamenti notevoli. «La nuova regolamentazione, i mercati, l’impatto della digitalizzazione - spiega Alberto Albertini, ai vertici di Banca Albertini Syz - hanno modificato radicalmente il modo di percepire i servizi da parte della clientela che richiede interlocutori sempre più preparati, disponibili ad ascoltare e anche in grado di saper dire di no se è nell’interesse del cliente. Nei prossimi anni si assisterà ad un passaggio da strutture product driven a players solution driven, il ruolo del private banker evolve, i clienti hanno bisogno di risposte semplici a problemi complessi». Come spiega l’esperto la gestione finanziaria del patrimonio non potrà essere svincolata da una comprensione dei bisogni legati alla gestione del patrimonio nel suo complesso (immobili, arte, problematiche aziendali e familiari); la tecnologia dovrà essere usata per una migliore attività di advisory e comunicazione con il cliente. «I servizi di consulenza devono fornire soluzioni e non prodotti - aggiunge Albertini - servono servizi ad alto valore aggiunto come il tax planning e l’analisi dei patrimoni anche presso altri intermediari; servono servizi di real estate per ragionare in modo diverso sulla valorizzazione delle proprietà immobiliari; infine riguardo al pricing occorre ragionare in modo diverso e allinearsi con maggior precisione gli interessi del clienti».

    Ma più di ogni altra cosa sarà fondamentale capire quale cliente si ha di fronte e che cosa vuole. Anzi, sempre più le banche private avranno successo se sapranno essere service oriented. «A livello globale i clienti tendono ad avere comportamenti di investimento diversi - suggerisce Gian Luca Ferrari, analista di Mediobanca Securities: in Asia, per esempio, gli investimenti diretti in azioni sono molto popolari (42% del totale), mentre in Nord America, Medio-Oriente e Africa i fondi comuni rimangono la forma preferita di investimento. In Sud America, invece, gli Etf sono lo strumento preferito.

    Oltre alle differenze di investimento a livello geografico, esistono altri trend rilevanti di cui tenere conto. I giovani high-net worth individuals, ad esempio, hanno un’attitudine e un approccio agli investimenti molto differenti rispetto a quelli dei loro genitori. È significativo osservare che gli Hnwi I sotto i 40 anni investono il doppio in Etf rispetto agli Hnwi con più di 60 anni di età. Allo stesso modo, i giovani benestanti chiedono, con sempre maggior insistenza, il passaggio da un modello in cui le fee sono calcolate come percentuale delle masse in gestione (pertanto solo indirettamente correlate al rendimento netto per il cliente), a un sistema molto più legato alla performance netta generata».

    Ma come spiega l’esperto, i principali player italiani sembrano non curarsi più di tanto di questi trend. «Le performance fee continuano a essere calcolate in maniera non conforme alle indicazioni di Iosco e Esma - aggiunge Ferrari -, ed eventuali allineamenti alle indicazioni dei due organismi potrebbero portare, addirittura, ad un incremento delle commissioni di gestione. Esattamente l’opposto di quello che i giovani clienti (che saranno poi i clienti futuri delle private bank) - stanno chiedendo». Insomma, è auspicabile che prenda piede un approccio in cui le performance di portafoglio perdano peso a favore di una percezione di valore che arrivi da un servizio a tutto tondo.

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