Le nuove modalità di elezione del presidente della repubblica rappresentano l’esempio più eclatante della malafede dei critici della riforma costituzionale. L’attuale Costituzione prevede che dopo il terzo scrutinio il presidente sia eletto a scrutinio segreto dalla maggioranza dei grandi elettori. Finché è rimasto in vigore il sistema elettorale proporzionale, e cioè fino al 1993, questa regola aveva un senso. In fondo, le maggioranze di seggi di allora coincidevano più o meno con la maggioranza dei voti popolari. Ma dopo l’introduzione di un sistema prevalentemente maggioritario - la legge Mattarella - questo non è stato più vero.
Dal 1994 a oggi le maggioranze di governo sono state “fabbricate” dal sistema elettorale che ha sistematicamente convertito una minoranza di voti in maggioranza di seggi, come avviene in Gran Bretagna, Francia e in altri paesi che adottano sistemi di voto maggioritari. Nulla di male in questo. Almeno per chi, come il sottoscritto, crede che l’Italia di oggi abbia bisogno di sistemi simili per favorire un minimo di stabilità dei governi e di governabilità. Il problema però è che ciò che è legittimo a livello di governo non lo è a livello di presidenza della repubblica. Per essere assolutamente chiari. Va bene che il premier possa essere eletto da una minoranza, ma non va bene che lo sia il presidente della repubblica.
Per il ruolo di equilibrio e di garanzia che nel nostro sistema il presidente della repubblica è chiamato a svolgere è giusto, anzi è necessario, che sia eletto da una maggioranza più ampia rispetto a quella che elegge il capo del governo. Quindi, era urgente che subito dopo l’approvazione della legge Mattarella nel 1993 si mettesse in cantiere una riforma costituzionale per alzare l’asticella per l’elezione del presidente della repubblica (e per dare il voto ai diciottenni al Senato), prevedendo che invece della maggioranza assoluta fosse necessaria una super-maggioranza. E invece niente. Silenzio anche da molti di coloro che oggi gridano allo scandalo in merito alle nuove modalità di elezione del capo dello stato.
Finalmente, dopo più di venti anni dalla legge Mattarella, il governo Renzi si è posto il problema di rendere compatibile l’elezione del capo dello stato con il principio maggioritario. Infatti, le nuove norme che regolano la sua elezione prevedono questo: l’ assemblea è formata da 730 membri (630 deputati e 100 senatori), per i primi tre scrutini ci vuole la maggioranza di due terzi della assemblea, dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti, dal settimo scrutinio la maggioranza resta sempre dei tre quinti, ma non più degli aventi diritto, ma dei votanti. Ecco lo scandalo! Ecco un altro tassello della deriva autoritaria! I votanti, non gli elettori.
Sono due gli argomenti dei sostenitori del complotto anti-democratico. Il primo è usato dai più sprovveduti. La loro tesi è che con il premio di maggioranza assegnato dall’Italicum chi vince le elezioni potrebbe comunque eleggersi a suo piacimento il presidente della repubblica. La loro è una matematica particolare. Infatti, se tutti i grandi elettori votano, la soglia per l’elezione è 438 su 730. Se a questa cifra sottraiamo i 340 seggi dati al vincitore dall’Italicum la differenza è il numero di senatori necessari per l’elezione. Ci vorrebbero cioè 98 senatori su 100 perché il vincitore delle elezioni potesse eleggersi da solo il presidente. No comment.
L’altro argomento dei complottisti è altrettanto politicamente sballato. La loro tesi è che molti grandi elettori il giorno della elezione del capo dello stato stiano a casa o vadano in vacanza o si ammalino. Non votano. In questo modo, visto che la maggioranza dei tre quinti è calcolata sui votanti, con pochi votanti il capo dello stato potrebbe essere eletto da una minoranza. Questa è proprio bella. Le nuove norme sono state introdotte per fare in modo che i partiti di opposizione possano concorrere alla elezione del capo dello stato. Senza il consenso di una parte di loro il nuovo presidente non potrà essere eletto. E loro cosa fanno? Rinunciano a usare il potere di veto che la costituzione gli dà e stanno a casa. Ci vuole una grande fantasia giuridica per articolare ragionamenti di questo tipo.
I fatti raccontano invece che dal 1948 (Einaudi) al 2015 (Mattarella) la percentuale dei votanti non è mai scesa sotto il 96% degli aventi diritto e spesso è stata il 99% (tabella in pagina). Il vero problema legato alle nuove modalità di elezione del presidente della repubblica è esattamente l’opposto di quanto temono i fautori del No. Con una soglia di elezione così elevata il rischio è quello di negoziati estenuanti tra maggioranza di governo e opposizioni. Potrebbero volerci decine di scrutini prima di raggiungere un accordo. Basta vedere quanto tempo c’è voluto per eleggere gli ultimi giudici della Corte Costituzionale. Altro che minoranze che eleggono il capo dello stato!
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