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Dossier «Si rischia un capo dello Stato eletto da una minoranza»

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Dossier | N. 118 articoliReferendum costituzionale

«Si rischia un capo dello Stato eletto da una minoranza»

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Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, uno dei saggi nominati nel 2013 dall’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano e successivamente membro della commissione per le riforme istituzionali voluta dall’allora presidente del Consiglio Enrico Letta, è tra gli esponenti del no, anche se non condivide tutte le motivazioni che altri portano nello stesso senso. Onida ritiene il ddl Boschi una riforma «confusa e demagogica» e fortemente accentratrice, che altera pericolosamente gli equilibri costituzionali.

Professore, per l’elezione del Capo dello Stato l’innalzamento del quorum ai 3/5, rispetto alla maggioranza assoluta prevista dall’attuale articolo 83, non offre maggiori garanzie?

Anche in questo caso, come per altri aspetti di questa riforma, si parte da un presupposto condivisibile, qual è l’innalzamento del quorum, per arrivare a un risultato diametralmente opposto. Il nuovo articolo 83 prevede infatti che a partire dal quarto scrutinio sia sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea, salvo poi aggiungere che dal settimo scrutinio la maggioranza richiesta scenda ai tre quinti dei votanti. È evidente che in questo modo si lascia aperta la possibilità che si arrivi all’elezione del Capo dello Stato anche col voto di meno della metà dei componenti del Parlamento.

Insomma il rischio è quello di un presidente della Repubblica eletto da una minoranza?

È un’ipotesi tutt’altro che infondata: e non si dica che è inverosimile che gruppi di minoranza non partecipino al voto. Infatti si possono dare accordi sotto banco o anche espliciti con gruppi di minoranza, che non partecipano al voto, a seguito dei quali comunque il Presidente potrebbe essere eletto col voto di meno della metà dei parlamentari, ciò che oggi è impossibile. Per di più l’attuale legge elettorale, col premio di maggioranza, già consente a una minoranza di ottenere alla Camera più di metà dei seggi. Se a questo sommiamo poi il divario tra il numero dei deputati, che rimangono 630, e quello dei senatori ridotti a 100, e l’assenza dei delegati regionali nel nuovo plenum, l’elezione del Capo dello Stato potrebbe diventare appannaggio di una sola parte politica che non rappresenta la maggioranza del Paese: un vulnus anche da un punto di vista simbolico.

Un rischio che lei ritiene si ripresenti anche per quel che concerne l’elezione dei giudici della Corte costituzionale?

In questo caso almeno si evita il rischio evidenziato nel quorum per il Capo dello Stato, visto che i giudici costituzionali verrebbero scelti separatamente dalle due Camere (2 dal Senato e 3 dalla Camera), ma sempre col quorum di tre quinti dei componenti. In questo caso la criticità è insita nella scelta fatta dal legislatore della riforma sul Senato delle Regioni. Contrariamente a quanto viene detto, il nuovo Senato non sarà espressione delle Regioni poiché i consiglieri e i Sindaci che ne faranno parte saranno eletti su base proporzionale senza vincolo di mandato, e rappresenteranno quindi le scelte dei partiti. Di conseguenza si potrebbe verificare anche al Senato come già alla Camera, invece che scelte orientate dalle convinzioni dei candidati giudici sulle questioni legate all'autonomia, uno squilibrio a favore della maggioranza politica.

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