Il potenziamento degli strumenti di democrazia diretta nella Costituzione? Per la senatrice di Sinistra Italiana Loredana De Petris, presidente del gruppo Misto a Palazzo Madama, le novità previste nella riforma su referendum e leggi di iniziativa popolare sono soltanto «uno specchietto per le allodole»: spacciate dal fronte del sì come contrappeso al rafforzamento dei poteri del governo, a suo avviso non aumentano la partecipazione dei cittadini. Semmai la comprimono.
Per il referendum abrogativo la riforma costituzionale prevede un quorum più basso nel caso si riuscissero a raccogliere 800mila firme. Non è un passo avanti?
In tutto il percorso della riforma ci siamo battuti per aumentare gli strumenti della partecipazione dei cittadini, perché siamo convinti che davanti a una crisi della rappresentanza sia necessario intervenire con più democrazia, non con meno. Ma le nostre proposte non sono state accolte. Sul referendum si complica la situazione, prevedendo due istituti: uno che rimane a 500mila firme e che mantiene il vecchio quorum, il secondo a 800mila firme con un quorum più basso, legato alla metà più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche. Il risultato è aver aumentato le firme necessarie, perché nessuno alla fine preferirebbe rischiare con 500mila firme e un quorum più alto. Ma chi ha esperienza di referendum sa bene che 800mila firme vuol dire doverne raccogliere un milione, perché c’è sempre una quota almeno del 10-15% di firme che vengono annullate. Lo strumento non è stato potenziato, ma reso più complicato e più costoso. Il quorum si abbassa ma sarà più difficile arrivare a depositare un quesito. Ed è rimasto il divieto su alcune materie che secondo noi è datato e andava aggiornato.
La riforma introduce però i referendum propositivi e di indirizzo…
Sì. Ma mentre il referendum abrogativo era stato disciplinato dai nostri padri costituenti anche con le materie e le firme occorrenti, qui no: si rimanda a una futura legge costituzionale. Con il rischio che il referendum propositivo resti lettera morta. Eppure la riforma è molto particolareggiata, basta leggere l’articolo 70: perché invece sul referendum propositivo non si dettaglia?
Sulle leggi di iniziativa popolare i fautori del sì sono netti: «Per il Parlamento sarà impossibile ignorarle». Non è così?
Sono state triplicate da 50mila a 150mila le firme per proporle. E l’obbligo di discuterle è rinviato ai regolamenti parlamentari. Mi domando: se si fosse veramente voluto garantire un contrappeso non si poteva cambiare già i regolamenti, mantenendo le 50mila firme? Non si poteva fissare un tempo entro il quale adeguare i regolamenti? Hanno dettagliato tutto in abbondanza, rendendo il testo della riforma incomprensibile. Non si comprende perché invece sugli istituti di partecipazione questo dettaglio non è stato garantito. Alla fine è soltanto una scusa per triplicare le firme.
Secondo lei, dunque, nessuna iniezione di democrazia diretta?
È uno specchietto per le allodole. Queste norme non fanno da contrappeso a una riforma che riteniamo molto restrittiva degli spazi di partecipazione e di decisionalità da parte dei cittadini. Il Senato non avrà più legittimazione democratica perché non sarà eletto, ma manterrà molto potere legislativo su materie cruciali come le leggi costituzionali, le leggi elettorali, l’attuazione delle norme europee. Non è vero che il bicameralismo paritario è superato. In più sono rafforzati i poteri del governo, che potrà chiedere il voto a data certa su ogni provvedimento che ritiene prioritario per l’attuazione del programma. Già oggi abbiamo un Parlamento in sofferenza, con l’80% dell'iniziativa legislativa che è del governo. Con la riforma rischiamo di avere un Parlamento completamente espropriato del potere legislativo. Il sistema di equilibrio viene messo in seria crisi. Senza affrontare il vero nodo del Paese: la qualità della legislazione, quel modo degenerato di legiferare che crea problemi a tutti, cittadini e imprese.
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