Nella tradizione costituzionale italiana la tensione per una valorizzazione degli istituti di partecipazione popolare è presente sin dai tempi dell’Assemblea costituente. Naturalmente, questa esigenza si è oltremodo rafforzata e amplificatanel tempo di oggi.
La riforma costituzionale al voto domenica prossima, in tal senso, opportunamente non elude il tema: anzi, si fa carico di questa spinta verso forme migliori ed ulteriori di coinvolgimento del corpo sociale nei processi politici decisionali, così rafforzando e corroborando in parallelo anche il nuovo circuito Parlamento-Governo.
In tal senso, la valorizzazione della partecipazione popolare nel nostro ordinamento tocca due istituti - l'iniziativa legislativa popolare e i referendum – che sono simili, poiché entrambi chiamano i cittadini ad una raccolta di firme per un facere, ma sono evidentemente diversi negli obiettivi.
L’iniziativa legislativa popolare (ex art. 71 Cost.), in particolare, mira a introdurre “dal basso” nuova legislazione da far approvare al Parlamento. Funzione sociale e partecipativa meritoria ma che, storicamente, ha dimostrato decisamente debole questa iniziativa rispetto a quella di tipo parlamentare o governativa, finendo per essere non soltanto sterilizzata nei suoi effetti – posto che nessuna iniziativa di legislazione popolare uti singuli è mai divenuta legge in settant’anni di Repubblica – ma anche umiliata nelle dinamiche del procedimento legislativo parlamentare, tenuto conto che meno della metà delle proposte popolari presentate - che necessitano, come noto, di almeno cinquantamila firme di cittadini – è stata discussa in Parlamento.
Per esser chiari, insomma: la democrazia partecipativa nella formazione delle leggi non ha mai avuto fortuna. Se, infatti, nella maggior parte degli altri ordinamenti, l'iniziativa legislativa popolare ha una reale funzione decidente - come un nostro referendum abrogativo - andando ad incidere o su atti normativi già deliberati o introducendo in modo “diretto”, cioè immediato appunto, atti normativi ex novo, invece, nel nostro ordinamento, l'iniziativa popolare si è dimostrata come strumento utile più per attivare e far arrivare idee in Parlamento “dal basso”, e stimolare il legislatore alla trattazione di un tema, piuttosto che per definire direttamente le caratteristiche della regolazione.
Persa la forza decisionale, dunque, questo istituto ha smarrito di senso e di funzione.
La riforma proposta rivitalizza questa forma di partecipazione popolare in due modi: da un lato, dandogli maggiore densità democratica, cioè politica, portando la raccolta necessarie per la presentazione di un progetto di legge da cinquantamila a centocinquantamila firme; dall'altro, proteggendo il progetto di iniziativa popolare nel procedimento legislativo, affermando che debba esserne garantito l'esame, fino ad una deliberazione finale, in tempi, forme e limiti definitivi, tramite, ovviamente, i regolamenti parlamentari.
Si tratta, insomma, di due garanzie nuove che parrebbero utili a dare forza concreta ad un vecchio – ma rilevante – istituto.
Poi, come ben sottolineato da Andrea Pugiotto e Giulio Vigevani nel Domenicale del Sole (si veda l’edizione del 13 novembre), si dà nuova linfa ai referendum.
Questo istituto viene rivitalizzato, mantenendo il referendum abrogativo come lo si conosce (ex art. 75 Cost.), aggiungendo in più la possibilità che, laddove si raccolgano almeno ottocentomila firme (cioè trecentomila in più delle “classiche” cinquecentomila, appunto) cambi il parametro per la sua validità: non più l'intero corpo elettorale - che invitava a fare campagna contro il quorum più che contro il quesito proposto, distorcendone il senso e alimentando l'astensionismo - ma i “soli” votanti alle ultime elezioni. Insomma, più sono le firme, più la realtà diviene parametro. Considerato il recente passato, non è poco.
Infine, sempre all'art. 71, a conferma della “funzione sociale” di questi istituti, l'introduzione dei due nuovi tipi di referendum - quelli propositivi e di indirizzo – mostra con chiarezza l'intento di favorire la partecipazione dei cittadini «alla determinazione delle politiche pubbliche»: un tema nuovo ma pieno di potenzialità.
Di questi due referendum nuovi si sa poco, tranne che una legge costituzionale definirà condizioni ed effetti di queste forme di consultazione anche rispetto alle formazioni sociali, e che le modalità di attuazione saranno stabilite da una legge ordinaria ad approvazione bicamerale. Di certo sono comuni negli altri ordinamenti e, se ben definiti dopo l'approvazione della riforma, possono rappresentare una opportunità ricca per implementare le opportunità di partecipazione alla vita democratica del Paese da parte dei cittadini, soprattutto alla luce della democrazia digitale, che ormai bussa con forza alla nostra porta.
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