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«Poco ottimista sui titoli bancari Ue»

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INTERVISTA

«Poco ottimista sui titoli bancari Ue»

«Re» dello short. Steve Eisman. (Reuters)
«Re» dello short. Steve Eisman. (Reuters)

L’economia mondiale oggi ha sicuramente molti problemi. Uno dei più pervasivi è la sua eccessiva finanziarizzazione. E in questo ambito, taluni fenomeni del mercato finanziario generano particolare irritazione. Se non addirittura ribrezzo. Ma ignorarli non aiuta quasi mai.

La realtà di questi giorni a Piazza Affari è la grandissima volatilità dei titoli bancari. Questo fatto può essere attribuito: 1) a un qualche disegno inteso a indebolire il settore al fine di favorirne la colonizzazione; 2) agli attacchi speculativi di predatori ribassisti; 3) alle scelte di investitori internazionali in grado di «muovere i mercati» che percepiscono debolezze nel settore bancario italiano. Oppure a un mix di questi tre fattori.

Nei primi due casi è difficile trovare qualcuno disposto a rivelare pubblicamente i segreti della propria strategia. Per cercare di capire i movimenti del mercato, il Sole 24 Ore ha dunque pensato di trovare una figura rappresentativa del terzo caso, quello che ha come protagonisti i cosiddetti market movers. Non ne abbiamo scelto uno qualsiasi, bensì Steve Eisman, l’investitore americano che ha previsto l’esplosione della superbolla dei mutui subprime e si è arricchito facendo un'enorme scommessa finanziaria con vendite allo scoperto. Insomma, una figura di investitore «buono», reso tra l’altro popolare da Steve Carell che lo ha interpretato nel recente film «La grande scommessa».

Oggi Eisman lavora per una storica società di gestione del risparmio newyorkese, Neuberger Berman, dove da agosto gestisce un fondo specializzato in acquisti e vendite allo scoperto di titoli statunitensi ed europei.

Lei sta prestando crescente attenzione ai titoli bancari europei. Ci può dire come mai?
A me interessano i titoli bancari sia statunitensi sia europei. Ma su quegli Usa sono ottimista, e quindi li sto comprando, su quelli dell’Europa continentale invece no. E quindi vendo alla scoperto.

Quali sono le motivazioni «tecniche» dietro a questa scelta?
Negli Usa governi e regolatori sono stati bravi su due cose: hanno spinto le banche a fare forte deleveraging, cioè ridurre il proprio indebitamento, e a ridurre il proprio rischio liberandosi dei crediti deteriorati. In Europa governi e regolatori sono stati molto più accomodanti, a mio parere sbagliando. E in Paesi come l’Italia o la Spagna hanno avuto un atteggiamento particolarmente permissivo. Basta guardare ai numeri: Citigroup prima della crisi aveva un rapporto di leveraging di 35 a 1. Adesso è 10 a 1. In Italia la riduzione è stata molto inferiore: Intesa era a 21 e ora sta a 15. UniCredit da 28 è scesa a 17 e il Banco Popolare da 24 a 14. In generale, le banche italiane hanno inoltre un brutto Texas Ratio, l'indicatore di solidità di una banca ideato alla fine degli anni 80 da un analista americano, Gerard Cassidy, esperto in casse di risparmio texane che rappresenta il rapporto tra crediti deteriorati netti e patrimonio netto tangibile. Secondo Cassidy quando questo indicatore raggiunge il 100% la banca è a rischio di fallimento: in Italia molte banche stanno ben oltre quel tetto.

Ha parlato anche di Spagna, eppure non sembra interessato ai problemi delle banche spagnole. Come mai?
Non mi ci sono focalizzato principalmente perché i due istituti maggiori, Santander e Bbva, hanno meno problemi degli italiani, e gli altri sono troppo piccoli.

In Italia, Governo, Banca d’Italia e banche dicono che il problema dei Npl si sta risolvendo.
Lo dicono da anni. Ma dal mio punto di vista, che è quello di un investitore estero, non vedo segnali di svolta. Quello che vedo è che nei bilanci delle banche gli Npl sono ancora quotati al 40-50% del loro valore, quando la realtà è che si vendono al 20. Se al mercato si chiede di mettere capitali in una banca, si deve dimostrare che i bilanci sono stati “ripuliti” dagli Npl. Se non li vedo ripuliti, da investitore mi tengo alla larga. E come me fanno tutti gli altri investitori bancari. Fine della storia.

Ma in questi mesi i titoli bancari sono scesi molto, il che porta a pensare che il mercato abbia assorbito il rischio dei Npl, e in questo ultimo paio di giorni stanno risalendo.
I bilanci non sono stati ancora ripuliti e fin quando questo non succede, gli investitori stranieri rimarranno scettici.

Quindi lei continua a scommettere contro, vendendo allo scoperto?
Esatto. Anche perché c'è un ulteriore problema che non è ancora stato riportato.

Quale?
Come in tutta Europa, anche in Italia le banche sono le maggiori detentrici di debito sovrano nazionale. E il possibile rialzo dei tassi rischia di complicare lo stato dei loro requisiti patrimoniali.

Ci spieghi meglio.
Uno dei modi con cui Mario Draghi ha risolto il problema nel 2012, quando fece la famosa affermazione del “whatever it takes”, è stato quello di favorire l’acquisizione di debito sovrano da parte delle banche europee. E in questi anni, con il suo continuo aumento di valore, i requisiti patrimoniali delle banche sono migliorati. Ma un aumento dei tassi attiverà il processo inverso e i cosiddetti capital ratios delle banche peggioreranno per via del peggioramento delle posizioni sul debito sovrano. Sta già accadendo, ma ancora nessuno ci ha fatto caso. Il problema non è circoscritto all'Italia, ma certamente non è quello di cui le banche italiane hanno bisogno.

Ma come aveva detto Draghi nel 2012, l’Europa potrebbe ora fare il suo “whatever it takes”. E come allora, chi scommette contro potrebbe fare un bagno di sangue.
È vero. E rispetto alla mia scommessa contro i subprime qui è diverso. C'è la variabile di un possibile intervento extra-mercato. In qualsiasi momento Francoforte e Bruxelles potrebbero decidere di ignorare le regole esistenti sul bail in e salvare le banche italiane. Date le circostanze, non lo ritengo probabile, ma non è impossibile. Nel 2012 certamente non avevo previsto che Draghi potesse mandare alle stelle il mercato del debito sovrano solo con una frase.

Persone come lei da molti sono percepite come degli squali, o addirittura nemici o aggressori dell’ Italia.
Non ho assolutamente niente contro l’Italia. Ritengo tragico il fatto che sia stato concesso di piazzare alla gente obbligazioni bancarie come se fossero depositi garantiti e che nessuno, a parte i risparmiatori, ne abbia pagato le conseguenze. Non ho certo creato io il problema degli Npl. Né sono stato io a consigliare al Governo di aspettare a porvi rimedio. Se l'Italia lo avesse affrontato anni fa, il problema non sarebbe ora così grande. Invece hanno continuato a rinviare la soluzione fino a quando non si sono trovati con le spalle al muro. E questa non è colpa mia. Accusare me delle difficoltà dei titoli bancari italiani è come dire che, siccome ho venduto allo scoperto i mutui subprime, sono responsabile del fatto che un sacco di povera gente ha perso la casa. Non sono stato mica io a concepire, impacchettare e vendere quelle schifezze. Quelli sì che erano squali.

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