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Dossier Italicum, revisione obbligata ma rischi per la governabilità

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Dossier | N. 118 articoliReferendum costituzionale

Italicum, revisione obbligata ma rischi per la governabilità

LAPRESSE
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La voglia di protestare ha prevalso sulla voglia di cambiare. Adesso ci terremo le due camere-fotocopia, un governo che per governare continuerà a usare decreti legge e voti di fiducia, un contenzioso endemico tra stato e regioni , il Cnel e così via. Abbiamo perso un’occasione per semplificare le nostre istituzioni. Peccato. Ma la vittoria del No non va sopravvalutata. Questo referendum non può essere paragonato alla Brexit. L’uscita dalla Unione europea non equivale politicamente alla decisione di non cambiare la Costituzione. Sono gli errori di strategia politica del premier e il conseguente conflitto tra guelfi e ghibellini che ne hanno fatto una sorta di giudizio di Dio. Ma non è così. Ciò premesso, non si può negare che ci saranno conseguenze rilevanti, anche se non così drammatiche come molti temono e altri sperano. Si apre adesso una fase politica delicata che dovrà essere gestita con molta prudenza e grande senso di responsabilità. La fragilità di fondo del nostro sistema politico e economico non consente altri errori. Tanto più che da questo voto escono indeboliti il premier e il suo partito che fino ad oggi sono riusciti ad assicurare la stabilità dell’esecutivo in una situazione parlamentare molto difficile.

Una delle conseguenze più rilevanti di questo voto è che non abbiamo più un sistema elettorale utilizzabile per tornare a votare. Infatti dopo la bocciatura della riforma costituzionale l’Italicum è diventato inservibile. Ora ci troviamo nella situazione di avere un sistema maggioritario a due turni alla Camera, cioè l’Italicum, e un sistema proporzionale al Senato. Questo pasticcio è frutto di uno dei compromessi che il premier ha accettato per far approvare la riforma elettorale. Dato che il Senato avrebbe dovuto essere riformato, si obiettò che non era necessario che l’Italicum fosse introdotto anche in questo ramo del Parlamento. La vera ragione in realtà era che gli avversari del premier non volevano mettergli in mano un sistema elettorale pronto all’uso. Al Senato doveva restare il sistema elettorale proporzionale scaturito dalla sentenza della Consulta del 2014 sul Porcellum. In questo modo, con due sistemi elettorali tanto diversi, le elezioni anticipate non sarebbero state possibili. Questo è ciò che interessava veramente a deputati e senatori. Niente altro. E lo hanno ottenuto. E così, adesso che il Senato non è stato riformato siamo nei pasticci.

Da questo pasticcio potrebbe tirarci fuori – a modo suo - la Corte costituzionale. Non passerà molto tempo prima che i 15 giudici emetteranno la loro sentenza sull’Italicum. Lo avrebbero dovuto fare in base ai poteri che alla Consulta avrebbe dato la riforma costituzionale, visto che una delle sue norme prevedeva espressamente il suo giudizio preventivo sulle leggi elettorali. Lo faranno invece in base al potere che si sono arrogati tre anni fa di decidere sui ricorsi presentati in vari tribunali della penisola contro il nuovo sistema elettorale. È certo che la Consulta modificherà l’Italicum. Quel che è incerto è il come e il quanto. La questione cruciale è se arriverà al punto di eliminare il ballottaggio. Per chi ha una conoscenza empirica, e non giuridica, dei sistemi elettorali sarebbe una assurdità. Ma può succedere. La Consulta ormai ci ha preso gusto a rifare le leggi elettorali. Una delle tante anomalie italiane.

Se il ballottaggio verrà eliminato si aprirà una prospettiva politica nuova. Senza ballottaggio gli attuali sistemi elettorali di Camera e Senato sarebbero sempre diversi, ma non tanto da impedire di poter votare. Sarebbero due proporzionali con un premio alla Camera (sempre che la Corte non lo elimini) e senza premio, ma con una soglia molto elevata, al Senato. Alla Camera il premio garantirebbe a chi arriva primo con il 40% dei voti il 54% dei seggi. Ma è un premio irraggiungibile per chiunque oggi, per cui i seggi verrebbero distribuiti in maniera proporzionale. Il problema sono le soglie di sbarramento. Alla Camera è il 4% per i partiti che decidono di presentarsi da soli e il 2% per quelli che si coalizzano, a condizione che la coalizione arrivi al 10%. Al Senato invece oltre a non esserci il premio (ma questo è tutto sommato irrilevante), la soglia, calcolata a livello regionale, è l’8% per i partiti singoli e il 3% per quelli che si alleano, a condizione che la coalizione arrivi al 20%. Una soglia all’ 8% rischia di escludere da questo ramo del parlamento diversi partiti, ma fare coalizioni prima del voto per avere lo sconto sulla soglia non sarà facile. Resta il fatto che ritoccare queste soglie non dovrebbe comportare grossi problemi. Ragion per cui, una volta eliminato il ballottaggio, il ricorso alle urne in tempi brevi potrebbe essere una strada percorribile.

“Non esiste alcuna possibilità che l’Italicum della Camera diventi il sistema elettorale del Senato. Il paradosso è che al M5S, che ne sarebbe il beneficiario, la cosa non interessa”

 

Ma il ballottaggio potrebbe anche sopravvivere al giudizio della Corte ed essere comunque eliminato. Sul suo superamento il premier ha preso un impegno prima del voto che sarà difficile disattendere. Lo sarebbe stato anche in caso di vittoria del Sì, adesso è cosa praticamente certa. Il ballottaggio non piace a molti. A chi pensa erroneamente che modifichi la forma di governo. A chi pensa erroneamente che produca un eccesso di disproporzionalità. E soprattutto a chi pensa che possa favorire una vittoria del M5S al secondo turno. Questa è la vulgata corrente. Quindi non esiste alcuna possibilità che l’Italicum della Camera diventi il sistema elettorale del Senato. Tra l’altro il paradosso è che al M5S, che ne sarebbe il beneficiario, la cosa non interessa. È quindi praticamente certo che una variante del sistema proporzionale del Senato venga introdotto alla Camera. La riforma la farà Renzi - se accetterà un reincarico dopo essersi dimesso ieri all’esito del voto - o il governo - tecnico o politico - che lo sostituirà. In ogni caso la riforma elettorale si farà. Deve essere fatta. Però non sarà affatto facile trovare un accordo su un sistema elettorale che favorisca un minimo di governabilità in un contesto partitico così frammentato e con il Pd e il suo leader indeboliti dalla vittoria del No.

La legge elettorale era il problema maggiore prima del voto. E lo è anche dopo. Senza una legge elettorale decente aumenterà il rischio di instabilità politica e quindi di ingovernabilità. Se così fosse pagheremmo a caro prezzo la vittoria del No.

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