In settimana la Consulta deciderà quando fissare l’udienza sulla legittimità costituzionale, la legge elettorale destinata, nelle intenzioni del Governo, a fare pendant con la riforma costituzionale appena bocciata dal voto referendario di domenica. Formalmente, la decisione spetta al presidente Paolo Grossi, che però è sempre stato rispettoso della collegialità in presenza di questioni delicate come questa, che fra l’altro si intreccia con la volontà politica - per ora solo annunciata - di rimettere mano a quella legge nel più breve tempo possibile. È probabile che l’udienza venga fissata tra la fine di gennaio e i primi di febbraio, com’era stato già ipotizzato il 19 settembre scorso in occasione del «rinvio a nuovo ruolo» (cioè a data da destinarsi) dell’udienza all’epoca prevista per il 4 ottobre. Anche se il calendario delle udienze è già tutto impegnato fino a marzo 2017, il presidente potrebbe ritagliare uno spazio per discutere le tre ordinanze contro l’Italicum giunte finora a Palazzo della Consulta dai Tribunali di Messina, Torino e Perugia(una quarta, del Tribunale di Genova, è in arrivo). D’altra parte, la Corte è già pronta per prendere una decisione nel merito.
La data dell’udienza di discussione (e quindi del verdetto) potrebbe essere comunicata con una nota stampa. Grossi ne parlerà prima con il relatore, il costituzionalista Nicolò Zanon, e poi con gli altri giudici (attualmente sono 14, a causa delle dimissioni per motivi di salute di Giuseppe Frigo). Per la verità, l’occasione per farlo si è presentata già ieri, visto che nel pomeriggio la Corte si è riunita per leggere e approvare una serie di sentenze, ma l’argomento non è stato sfiorato. Oggi e domani, però, ci sono altre due camere di consiglio e quindi altrettante occasioni per decidere o essere informati della decisione del Presidente. Nel frattempo, forse sarà più chiaro il quadro politico almeno dei prossimi giorni.
L’udienza sull’Italicum era stata fissata, inizialmente, per il 4 ottobre, sul presupposto che il referendum si sarebbe svolto prima. Lo slittamento della consultazione popolare aveva indotto però la Corte a rinviare la sua decisione ad un momento successivo, per la difficoltà di valutare al buio l’Italicum (il nuovo sistema elettorale della Camera), senza sapere quale sarebbe stato il sistema elettorale del Senato nell’ipotesi di vittoria del Sì o in quella di vittoria del No. Inoltre, a Palazzo della Consulta erano attese anche altre ordinanze, che si sarebbero aggiunte a quelle dei Tribunali di Messina e di Torino, dando un quadro più completo delle contestazioni. Peraltro, poiché già all’epoca si parlava di modificare l’Italicum, qualcuno era preoccupato che la pronuncia della Consulta, nelle more dell’iter parlamentare, fosse percepita come «interferenza». Un argomento, quest’ultimo, che in teoria potrebbe riproporsi anche stavolta sui tempi di decisione della Corte, sebbene privo di fondamento. Anzi: qualora Palazzo della Consulta dovesse bocciare l’Italicum lasciando in piedi - come nel 2014 con il Porcellum - un sistema elettorale comunque funzionante, questo potrebbe diventare un parametro di riferimento per il legislatore.
Le ordinanze all’esame della Consulta toccano punti cruciali (almeno 9) della nuova legge elettorale. Si va dalle liste dei candidati da presentare in 20 circoscrizioni elettorali suddivise in 100 collegi plurinominali, all’attribuzione dei seggi su base nazionale «con il metodo del quoziente intero e dei più alti resti»; dalla soglia di sbarramento al 3%, al premio di maggioranza e all’ipotesi di ballottaggio. La Corte deve poi valutare se vi sia una violazione dei principi costituzionali nel blocco misto di liste e candidature: l’Italicum è stato impugnato, infatti, anche là dove prevede che «sono proclamati eletti, fino a concorrenza dei seggi che spettano a ciascuna lista in ogni circoscrizione, dapprima i capilista nei collegi, quindi i candidati che hanno ottenuto il numero di preferenze». Un’altra disposizione nel mirino è quella che attribuisce al capolista eletto in più collegi plurinominali la facoltà di compiere liberamente la sua opzione, nonché quella che prevede l’applicazione delle nuove norme sull’elezione della Camera dei deputati a partire dal 1° luglio 2016. Il Tribunale di Messina, poi, contesta anche un punto di ciò che resta del Porcellum dopo la bocciatura della Corte, cioè la soglia di sbarramento per il Senato, più elevata rispetto a quella prevista per la Camera.
Tutte queste questioni potranno ora essere discusse in udienza, davanti alla Consulta, alla luce del risultato referendario, e quindi in funzione del sistema elettorale applicabile al Senato, che allo stato è il cosiddetto Consultellum, cioè quel che resta del Porcellum. L’esigenza è anche quella di garantire due leggi elettorali uniformi (per Camera e Senato), senza le quali verrebbe meno la governabilità.
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