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Renzi: governo di responsabilità o urne

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Renzi: governo di responsabilità o urne

  • –Emilia Patta

ROMA

Un governo di responsabilità nazionale con tutti i partiti dentro. Solo così il Pd è disponibile ad arrivare a fine legislatura. Con un governo sostenuto da un’ampia maggioranza parlamentare - più ampia dell’attuale - che faccia le cose che vanno fatte, a cominciare dalla “sistemazione” della legge elettorale per uniformare i sistemi per l’elezione della Camera e del sopravvissuto Senato, e che rappresenti l’Italia al G7 di maggio previsto a Taormina. Questa la proposta che Matteo Renzi farà oggi agli altri partiti dalla direzione del Pd. Il via libera con fiducia del Senato alla legge di bilancio ci sarà in mattinata. E venerdì, dopo una pausa di riflessione sul da farsi, Renzi salirà al Quirinale per rassegnare le dimissioni.

Alla fine di una giornata molto tesa tra i democratici attorno all’idea di andare subito alle elezioni senza neanche formare un nuovo governo (è stato l’alleato principale di Renzi, Angelino Alfano, a parlare lunedì sera di voto a febbraio), ha prevalso alla fine il «senso della responsabilità». Almeno in prima battuta. Il Pd è un partito responsabile, ripetono i dirigenti di Largo del Nazareno, e non precipiterà il Paese alle urne in mancanza di una legge elettorale efficiente e senza prima aver tentato una soluzione condivisa. Ma la condizione è appunto che tutti partecipino allo sforzo, auspicabilmente anche il Movimento 5 stelle. Tuttavia la partecipazione dei grillini non sembra una conditio sine qua non: l’importante è che ci sia una larga condivisione delle forze politiche in Parlamento per affrontare le scadenze del Paese, che nella primavera saranno incentrate sui temi europei. A partire dalla questione della riforma dell’Unione europea in occasione del sessantenario (a marzo, e proprio a Roma). «Non possiamo dare vita al quarto governo non eletto e da noi sostenuto - è la linea dettata da Renzi -. Io non ci sto a farci rosolare da Grillo e Salvini che chiedono le elezioni e ci accusano di voler restare attaccati alla poltrona». Certo, c’è l’ipotesi di un governo con Forza Italia, se alla fine Silvio Berlusconi dovesse dare il via libera nonostante i primi dinieghi. Ma Renzi si chiede, e chiede ai dem: «La minoranza bersaniana, dopo aver gridato all’inciucio per tre anni, sosterebbe in Parlamento un governo con dentro non solo Verdini ma anche Berlusconi?».

Insomma, a ben vedere la strada del governo di responsabilità nazionale - che comunque sarà tentata e il cui esito è soprattutto nelle mani di Mattarella - è da parte di Renzi un atto dovuto e al tempo stesso una provocazione. E non solo perché nel frattempo il governo “largo” è stato già bocciato da Matteo Salvini, da Giorgia Meloni e da Luigi Di Maio. È lo stesso Renzi a non crederci. E dunque il piano B rischia di restare l’unico piano: le elezioni il prima possibile. Naturalmente, come ha rilevato ieri lo stesso Mattarella, occorrerà avere una legge elettorale coerente tra Camera e Senato. E allora, è la risposta di Renzi, si attenderà la decisione della Corte costituzionale sull’Italicum - la sentenza, fissata proprio ieri per il 24 gennaio, sarò autoapplicativa - e poi si potranno sciogliere le Camere e indire i comizi elettorali. Renzi ha già segnato in rosso la data del 15 marzo, dopo i 45 giorni minimi previsti dalla Costituzione. E nel frattempo? La soluzione immaginata a Palazzo Chigi è quella di un Renzi dimissionario che accetta di restare per traghettare il Paese al voto. Ma la “formula” tecnica, si sottolinea, sarà naturalmente trovata da Mattarella. Che infatti sembra propenso, semmai, a un reincarico formale con nuova fiducia da parte delle Camere. Dimissionario o meno, per Renzi è comunque meglio restare a Palazzo Chigi, su richiesta del Capo dello Stato e dopo aver preso atto che una soluzione condivisa in Parlamento è impossibile, piuttosto che dare vita al quarto governo appoggiato dal Pd facendosi nel frattempo crocifiggere dai “populisti”.

Sulla strada che sembra intravvedersi delle urne anticipate Renzi ha con sé la maggioranza del partito: senz’altro i “suoi”, i renziani, e anche i Giovani Turchi di Andrea Orlando e Matteo Orfini. Più cauto Dario Franceschini, vicino al presidente Mattarella, che vede le elezioni spostate un po’ più in là rispetto al disegno di Renzi: a giugno, in modo che si possa celebrare con calma il congresso del Pd (mentre in caso di elezioni a marzo i tempi per il congresso sarebbero un po’ stretti, e dunque Renzi potrebbe optare per primarie per la premiership come quelle del 2012) e adempiere agli impegni internazionali (il G7 a Taormina). In questo caso, per arrivare fino a giugno, occorrerebbe un governo “vero” e non dimissionario, nel pieno esercizio delle sue funzioni. In ogni caso Franceschini non si metterà di traverso: tra i molti parlamentari della vecchia Area Dem (il sottogruppo della maggioranza del Pd più rappresentato alla Camera) la leadership di Renzi non è messa in discussione. Il braccio di ferro è sui tempi delle elezioni, comunque anticipate.

A chiedere nel Pd di arrivare comunque alla scadenza della legislatura, nel febbraio 2018, è paradossalmente solo l’opposizione interna dei bersaniani: «Si può arrivare a scadenza con questa maggioranza, bisogna fare per bene la legge elettorale, serve un governo che si occupi dell’economia e del sociale. Così rischiamo di perdere sulle macerie e consegnare l’Italia alle destre, sconsiglio di sfidare ancora il Paese», dice Pier Luigi Bersani. Arrivando anche a evocare la scissione in caso di avventure o azzardi: «Renzi vuole che ce ne andiamo? - continua l’ex segretario in tv rispondendo a una domanda -. Questo è chiaro. Se io togliessi l’incomodo sarebbe contento. Ma io non intendo farlo. A meno che il Pd non diventi il Pda, il partito dell’avventura, il partito di uno che mette sé stesso davanti al Paese».

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