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La «lezione» dei salvataggi europei

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La «lezione» dei salvataggi europei

  • –Mara Monti

MILANO

La difficile evoluzione della crisi del Monte dei Paschi di Siena potrebbe avere come epilogo l’intervento statale. Se questo avverrà lo si saprà nel fine settimana per essere pronti all’apertura dei mercati lunedì. Una strada diventata percorribile dopo le difficoltà riscontrate dal piano messo a punto dagli advisor.

Dallo scoppio della crisi finanziaria del 2008 i casi di intervento statale a sostegno delle banche europee sono stati numerosi. Per l’Italia il timing oggi è reso più difficile dall’entrata in vigore della direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) che regola il cosiddetto bail-in. Lunedì scorso dopo il risultato del referendum, Ewald Nowotny uno dei membri del board della Banca centrale europea e Presidente della Banca centrale austriaca notava che «la differenza tra l’Italia e gli altri paesi è che in Italia finora non ci sono stati aiuti di Stato». Il punto è proprio questo: l’Italia ha partecipato al salvataggio delle banche europee attraverso i fondi istituiti per evitare lo scoppio di crisi sistemiche nell’eurozona. Al fondo Esm (European Stability Mechanism) l’Italia partecipa con una quota tra il 3-4% del Pil, benché finora non abbia fatto ricorso ad alcun intervento pubblico.

Non è stato così per altri paesi europei come ad esempio la Germania dove le banche hanno ricevuto dallo Stato che è anche azionista, circa 230 miliardi finiti nelle casse delle Landesbank e delle Sparkasse. A questi si aggiungono gli interventi su Commerzbank nel 2009 con una iniezione di liquidità di 10 miliardi di euro da parte dello Stato che ne ha rilevato una quota del 25 per cento. C’è poi la tedesca HSH Nordbank che ha beneficiato di una ricapitalizzazione di 3 miliardi di euro e di una serie di garanzie pubbliche concesse dal fondo speciale tedesco per la stabilizzazione dei mercati finanziari. In Austria gli aiuti di Stato sono stati di dimensioni minori, ma hanno portato a un intervento di Vienna per 5,5 miliardi di euro per la nazionalizzazione della Hypo Alpe Adria e la costituzione di Heta una bad bank per fare fronte ai crediti deteriorati oltre alla forte esposizione verso i paesi dell’Europa orientale.

Dalla crisi finanziaria dell’Eurolandia in poi gli interventi sul sistema bancario hanno visto Spagna e Irlanda in primo piano, fino ai casi recenti di Grecia e Cipro. La mano statale ha reso possibile la costituzione di «bad bank» per raccogliere i crediti deteriorati degli istituti di credito con operazioni che hanno coinvolto anche investitori privati, tra banche e assicurazioni: nel 2012 in Spagna, il Fondo pubblico spagnolo per la ristrutturazione bancaria (Frob) ha versato il 45% del capitale nella bad bank e il resto è stato versato dai privati. Ma per salvare il sistema bancario spagnolo è dovulto intervenire direttamente il Fondo salva-Stati europeo con 40 miliardi di euro. Nel 2009 l’Irlanda ha creato la Nama (National Asset Management Agency) in risposta alla crisi finanziaria e allo scoppio della bolla immobiliare: l’agenzia, istituita con l’intervento statale, ha avuto lo scopo di acquistare i crediti deteriorati, soprattutto legati al real estate.

Le nazionalizzazioni britanniche appartengono, invece, ad un altro capitolo in quanto la Gran Bretagna essendo fuori dall’eurozona ha potuto agire senza dovere sottostare alle regole europee sugli interventi statali: nel 2009 gli interventi su Abbey, Barclays, Hbos, Hsbc, Lloyds TSB, Nationwide Building Society, Royal Bank of Scotland e Standard Chartered sono costati al Regno Unito circa 500 miliardi di sterline.

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