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Processo legislativo da semplificare per salvare il cuore della riforma

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L'Analisi|lo scenario

Processo legislativo da semplificare per salvare il cuore della riforma

Una cosa si sapeva, anche prima di conoscerne il nome, del prossimo presidente del Consiglio incaricato. Sarebbe stato, con certezza, un sostenitore della riforma costituzionale rigettata dagli elettori: uno sconfitto, quindi, nel linguaggio tribale applicato a una partita che si è giocata tutta e solamente con i toni acidi del bianco e del nero, senza sfumature, senza rispetto per gli avversari. Un linguaggio che si è spinto fino al disprezzo delle regole basiche della dialettica tra maggioranza e opposizione: le accozzaglie referendarie non fanno maggioranza parlamentare.

Essendo poi stato, il presidente designato, un esponente misurato e dialogante all’interno della sua fazione , potrà avverarsi quello che pare, a prima vista, un piccolo miracolo politico e istituzionale. Recuperare il vero nocciolo duro della riforma stessa – la semplificazione concreta del procedimento legislativo –, farlo nel pieno rispetto del voto referendario, e con il possibile consenso della parte meno partigiana del no, nel paese; e con il contributo, addirittura, delle irriducibili opposizioni dentro le camere. Infine, senza spargimento di sangue costituzionale.

Davvero, vista la virulenza della campagna referendaria, un piccolo miracolo: che si potrà ottenere non per iniziativa diretta del capo del governo, trattandosi di una competenza, disgiunta ma parallela, dei due rami del parlamento. Ma occorrerà la disponibilità dell’esecutivo, che non dovrà ripetere l’errore di sostituirsi alle camere invadendone il campo.

Questo consenso, che potrà contenere anche i mistici della costituzione intangibile, richiede la riscoperta puntuale (e tardiva )del nitido procedimento legislativo disegnato nell’articolo 72 della costituzione. E quindi, giocoforza, la rimozione delle deformanti forzature alle quali è stato nel tempo sottoposto dai protagonisti istituzionali, governo e parlamento. Per indicarne alcune: i maxiemendamenti delle dimensioni di un romanzo d’appendice , sfornati direttamente dai palazzi ministeriali e portati alle camere da un ministro dotato di un lasciapassare sotto specie di autorizzazione a porre la questione di fiducia; leggi, quindi mai votate con riferimento al contenuto, ma sotto il “ricatto” della fedeltà all’esecutivo; decreti legge sprezzanti del connotato costituzionale dell’urgenza o della necessità; delegazioni legislative libere come praterie, in cui massima è l’impotenza delle camere. Con l’indotto di conseguenze gravi, finanche giurisdizionali, per l’obbligo di interpreti e semplici cittadini di padronanza di testi di legge letteralmente (e spesso deliberatamente) incomprensibili. Ecco: di tutte queste prassi non conformi alla costituzione, di questi precedenti di comodo, di tanti arcani andranno sgombrati gli archivi delle camere, senza indugi e tentennamenti.

Forzature che nascono per la oggettiva necessità di dotare nel dopoguerra i governi di strumenti di legittima difesa dal dilagare delle funzioni parlamentari; e trovano la loro radice nell’appropriazione da parte delle camere della stessa funzione legislativa di governo, a compensare l’immutabilità dei ruoli di maggioranza e opposizione imposta dai sinistri ma stabilizzanti equilibri della “guerra fredda”. Ma diventano consuetudine nella “seconda repubblica” : quando l’obiettivo, esso stesso improprio, della supremazia dei governi sulle camere si ottiene attraverso l’uso dei rapporti di forza istituzionali, assai più produttivo della ricerca di accordi sul piano normativo. E rendono desueto, queste forzature, il procedimento legislativo inciso in costituzione: l’esame referente in commissione e quello in aula in entrambe le camere, con il vincolo della votazione di emendamenti e dei singoli articoli, fino a testi identici.

Non solo semplificazione dei procedimenti, ma semplicità dei testi.

La forza della costituzione rigettata sta molto nella fissazione di un tempo garantito per i disegni di legge reputati fondamentali dal governo. A fronte di questa garanzia, si scioglie ogni diritto alle sovrastrutture di cui sopra,”inventate” prima per fiaccare le resistenze delle camere al diritto di ogni governo di realizzare il proprio programma ; poi per ridurre l’autonomia delle camere stesse.

Ciò avverrà se parlamento e governo lo vorranno: ma potranno non volerlo, e con quali argomenti? Quale istanza politica o istituzionale può ergersi a difesa di indifendibili prerogative del governo, quando lo stesso sarà padrone dei tempi delle proprie iniziative legislative ?

Per riportare il procedimento legislativo alla ricercata semplificazione, è fondamentale il diritto del tempo garantito, per il quale è sufficiente un intervento sui regolamenti parlamentari che sia inequivoco, al di là di formule di contingentamento approssimative e complicate. La costituzione non è gelosa dello spazio proprio dei regolamenti parlamentari, se correttamente delimitato.

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