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Se il benessere dipende ancora da Pil e lavoro

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L'Analisi|i risultati

Se il benessere dipende ancora da Pil e lavoro

Dopo la crisi, l’Italia non è la stessa: mostra un pesante slittamento di benessere nella sua grande periferia meridionale. Molte province centro-nord-orientali hanno perso terreno e rischiano di tornare a essere un’area semiperiferica, contigua ma non omogenea alla grande piattaforma continentale europea. L’indagine sulla qualità della vita del Sole 24 ore conferma innanzitutto che una vasta area urbana settentrionale – la metropoli di Milano, le urbanizzazioni pedemontane e dell’Emilia - è ormai parte della città continente, come la chiama Yona Friedman, legata da una rete di alta velocità simile a una metropolitana che brucia il tempo interstiziale.

In questo continuum urbano dell’«Alta Italia», è diffuso un elevato tenore di vita perché si tratta di città-patrimonio che stanno crescendo come città creative/innovative e di cultura internazionale. Hanno acceso vari motori economici per sprigionare dinamismo urbano: puntano sulla capacità pioneristica di affrontare le sfide digitali e immateriali del XXI secolo. Queste città perciò curano estetica e cortesia, pragmatismo e intellettualità nomade: la qualità della vita è misurata con le opportunità offerte all’individuo di esprimere le proprie potenzialità. La forte densità urbana però non dispensa “pasti gratis”. I buoni risultati economici e culturali si pagano con contraddizioni in più in termini d’integrazione sociale e protezione familiare e, soprattutto nelle periferie, con qualche inquietante incognita sulla sicurezza.

In secondo luogo, dopo la crisi, diverse province del Centro-nord-est rischiano l’aurea mediocritas, un ruolo di “cuscinetto” -senza infamia e senza lode- tra le città dell’Alta Italia e quelle del Mezzogiorno. Dopo epiche incursioni ai vertici della classifica, (almeno fino a dieci anni fa sotto la spinta dei distretti industriali), molte province centrali e venete, dopo la crisi appaiono economicamente ridimensionate e semiperiferiche, eccetto città-patrimonio del calibro di Firenze e Siena. L’Italia di mezzo, con il Mezzogiorno, è stata la più colpita dalla crisi in quanto a riduzione di Pil pro capite e occupazione. Tuttavia, va segnalato un risveglio d’imprenditorialità e di start up proprio in province come Ascoli e Ancona, dove la crisi ha picchiato duro. L’arretramento economico è poi compensato da una proverbiale vivibilità delle “cento municipalità” del Centro. Bellezza e vivibilità dei luoghi sono caratteristiche della qualità della vita. In questa macro-area i terremoti recenti hanno però messo a nudo la fragilità del modo di vita appenninico che era riuscito a coniugare buon cibo, cultura, paesaggio e turismo.

Le province meridionali non hanno subìto terremoti, ma la guerra del 2009-2014: territori siciliani, calabresi e, in parte, campani e pugliesi con picchi negativi a due cifre per Pil pro capite e occupazione. Del resto, abusivismo e speculazione hanno inferto gravi ferite al paesaggio, inibendo potenzialità a una qualità della vita meridionale intesa come abbondanza di beni comuni come mare e coste, clima e paesaggio. Non è andata così. Anzi, le aree metropolitane meridionali sono afflitte da mille contraddizioni e languono in fondo alla classifica. Nell’epoca dello sviluppo urbano e tecnologico, non riescono a divenire motori di una riscossa socio-economica di questo territorio. Purtroppo, dove stenta a funzionare la regolazione dell’economia di mercato, come al Sud, anche gli altri meccanismi di regolazione sociale, come lo Stato e la stessa famiglia, presentano gravi distorsioni.

La riscossa economica che aspettiamo da anni dal Sud è ora la stessa che attendiamo da tutti i territori del Paese pesantemente colpiti dalla crisi, come l’area manifatturiera veneto-marchigiana. In uscita dalla recessione, il benessere torna a riferirsi soprattutto a reddito disponibile e opportunità di lavoro, segno sia di un sentiment diffuso di deprivazione di status sia di “consenso che non c’è” soprattutto nei territori più colpiti. È questo il motivo di riflessione della classifica di oggi.

È vero: l’inventore del Pil, il premio Nobel Simon Kuznets, era molto critico con chi riduceva il benessere al Pil pro capite. Le dimensioni del benessere sono numerose come i petali di una margherita. Il “buon vivere” può indicare la presenza nel territorio di facilitatori di natura economica, sociale, culturale per le potenzialità del cittadino; o essere vivibilità dei luoghi; o legarsi allo sviluppo sostenibile. Tuttavia - a parte la ricchezza di significati della qualità della vita - oggi gran parte d’Italia è ancora “sotto-soglia” di reddito e occupazione pre-crisi. Di conseguenza, la crescita economica e del lavoro è tornata stella polare per le aspettative di benessere.

Al momento, il paradosso di Richard Easterlin appare inapplicabile. Egli sosteneva che la crescita del Pil non influisse sulla qualità della vita e sul benessere percepito oltre una certa soglia di affluenza economica già raggiunta. Ma oggi in Italia la perdita di Pil pro capite e di occupazione pesano, eccome, sul benessere (e sul consenso).

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