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Accordi bilaterali sui rimpatri e più espulsioni dei clandestini

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Accordi bilaterali sui rimpatri e più espulsioni dei clandestini

Nel giorno del suo insediamento al Viminale, dopo il passaggio di consegne con Angelino Alfano, Marco Minniti affronta subito la priorità numero uno: l’immigrazione. Il «cruscotto statistico giornaliero» dell’Interno snocciola cifre mai viste prima. Siamo a 177.533 sbarchi da gennaio (+18% sul 2015, +7% sul 2014). A fine anno si toccherà quota 190mila arrivi. Il sistema di accoglienza ospita 200mila stranieri (175mila adulti e 25mila «minori non accompagnati»). Ma l’impronta di Minniti sul dossier immigrazione porta in dote la sua esperienza di autorità delegata all’intelligence nei governi di Enrico Letta e Matteo Renzi.

La questione, dunque, si affronta guardando oltreconfine. Certo, oggi il ministro presiederà il tavolo di coordinamento con gli enti locali: c’è in ballo il piano di redistribuzione dei migranti tra tutti i Comuni d’Italia. Finora solo 2mila700 sono i centri abitati impegnati con l’accoglienza migranti. Proteste e resistenze serpeggiano ormai numerose non solo tra i sindaci targati centrodestra.

La questione immigrazione, tuttavia, comincia dai paesi africani. Il patrimonio di conoscenze e informazioni acquisite con la guida dell’intelligence consente a Minniti di puntare, il prima possibile, alla stipula di accordi bilaterali con gli stati di provenienza. Consentono, se ci sono risorse economiche sufficienti, di organizzare rimpatri consistenti. Garantiscono, soprattutto, un effetto di disincentivo alle partenze e di riduzione dei flussi: è l’obiettivo politico prioritario. I principi umanitari non sono affatto in discussione. Ma anche nel travagliato scenario libico, ben noto a Minniti, occorre trovare occasioni di freno, di riorganizzazione e di deterrente ai viaggi della disperazione. È da lì, del resto, che parte la quasi totalità dei flussi.

Ma a distanza di pochi mesi da una nuova tornata elettorale la politica dell’immigrazione non può essere una buccia di banana che fa scivolare il governo. Un approccio di tipo securitario, dunque, sarà mescolato a quello umanitario. E, proprio per esigenze politiche, il primo aspetto - Minniti è già stato viceministro dell’Interno con il governo Prodi - andrà rafforzato. Gli accordi bilaterali per i rimpatri, del resto, presuppongono la capacità di fare espulsioni e, se necessario, trattenere i clandestini che non si fanno identificare. I Cie (centri di identificazione ed espulsione), destinati a queste esigenze, sono strutture negli ultimi anni ridotte ai minimi termini.

Non è escluso però che, con tutto il rispetto dei diritti umanitari e personali, non si concepiscano nuovi centri destinati a rimpatriare i clandestini. Il dialogo con i partner europei diventa dunque strategico e può andare anche oltre l’approccio d’insieme a Bruxelles finora perdente per l’Italia. I contatti positivi con la Germania sull’immigrazione, per esempio, sono diventati numerosi e intensi. La partita in Europa può fornire spunti vincenti se il governo italiano si mostra virtuoso: lo ha già dimostrato con i meccanismi di fotosegnalamento e rilievi digitali, ora deve far vedere un’azione più efficace sul fronte degli irregolari.

Non è poi escluso che sia rilanciato il tema - sollecitato già da Matteo Renzi - dei migranti impegnati in un’occupazione mentre sono in accoglienza anzichè trascorrere le giornate senza alcun impegno. Un quadro molto complesso, dunque, dove Minniti potrà contare su tre prefetti del calibro di Luciana Lamorgese, capo di gabinetto confermato, Franco Gabrielli e Mario Morcone, numeri uno ai dipartimenti Pubblica sicurezza e Libertà civili.

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