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In Italia taglio di 833 filiali e del 21% dei dipendenti

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In Italia taglio di 833 filiali e del 21% dei dipendenti

  • –Cristina Casadei

La trasformazione del modello operativo del gruppo UniCredit dovrà passare da una nuova riduzione dei dipendenti. A livello globale saranno 6.500, di cui 3.900 in Italia, dove saranno chiuse 883 filiali. Il piano «Transform 2019», illustrato ieri dal management della banca ai sindacati in una conference call, prevede, come si legge nel documento inviato ai rappresentanti dei lavoratori, altri 6.500 esuberi netti entro il 2019, per una riduzione totale netta degli Fte (full time equivalent) di circa 14mila unità entro il 2019. Il risparmio dei costi per il personale, dato da questo ulteriore taglio che arriva dopo le quasi 6mila uscite concordate con il sindacato nel biennio precedente, sarà di 1,1 miliardi di euro. Un’ulteriore riduzione degli altri costi operativi di 600 milioni di euro permetterà al gruppo di ottenere un risparmio sui costi ricorrenti annui totali netti pari a 1,7 miliardi di euro, ottenendo una base di costi di circa 10,6 miliardi di euro nel 2019, in discesa quindi rispetto ai 12,2 miliardi nel 2015. La maggior parte dei risparmi dovrebbe arrivare, secondo le previsioni della banca, nei primi 24 mesi.

Secondo quanto i manager del gruppo hanno spiegato ai sindacati, il nuovo modello operativo punta ad accrescere l'attenzione al cliente semplificando e migliorando l'efficienza del gruppo. L'obiettivo è di avere una base di costi sostenibile e più bassa avvalendosi della digitalizzazione come strumento di tale trasformazione. Tra le iniziative più importanti c'è la ripianificazione dei processi end to end, abbassando i costi operativi facendo leva sulle operazioni globali e sullo sviluppo delle economie di scala. Inoltre i bancari di UniCredit si concentreranno di più sul cliente con maggiore attenzione alla customer experience, alla standardizzazione del prodotto e a maggiori attività one to one. Infine verranno investiti 1,6 miliardi di euro per la trasformazione delle attività e per rafforzare l'infrastruttura informatica attraverso la adigitalizzazione, lo sviluppo tecnologico di sistemi core e il continuo aggiornamento dell'infrastruttura, assicurando l'allineamento della compliance con i requisiti normativi.

Nel sindacato c'è grande preoccupazione, soprattutto perché il piano arriva a breve distanza da due accordi sindacali che hanno portato all'uscita di quasi 6mila bancari (con uscite ancora da effettuare entro il 2018). Complessivamente,comprendendo anche gli ulteriori 3.900 esuberi, dal 2015 si calcola una riduzione di oltre il 20% del personale. «Non possiamo fare soltanto accordi per fare uscire la gente, bisogna pensare anche a chi resta e alle condizioni di lavoro in cui si troverà», osserva Elena Aiazzi, segretario nazionale della Fisac Cgil. «Ci batteremo affinché gli esuberi dichiarati siano gestiti solo su base volontaria e attraverso il nostro ammortizzatore sociale di settore, con le massime garanzie per i lavoratori interessati», dice Mauro Morelli, segretario nazionale della Fabi. Il segretario generale della First Cisl, Giulio Romani, dice che adesso «la vera sfida è coinvolgere il personale nell'organizzazione del lavoro». La Uilca di Massimo Masi fa notare infine che «il piano industriale presentato è molto peggio rispetto a quello che ci aspettavamo.

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