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Raggi e Marra, destini legati. Per il M5S il primo bagno di realtà

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stamattina l'arresto del capo del personale del campidoglio

Raggi e Marra, destini legati. Per il M5S il primo bagno di realtà

Attenzione alle date: sono importanti, in questa storia, perché raccontano come i destini di Virginia Raggi e Raffaele Marra siano legati a doppio filo. Sono le prime nomine di Raggi, a giunta non ancora insediata, quelle che premiano i fedelissimi: il 28 giugno Daniele Frongia, attuale vicesindaco, viene scelto come capo di gabinetto, anche se non potrebbe avere potere di firma in base alla legge Severino, essendo stato in consiglio comunale fino a poco prima. Il 2 luglio come vicario di Frongia Raggi nomina Raffaele Marra, dirigente capitolino che in passato ha lavorato con Gianni Alemanno e con Renata Polverini. Si scatenano i primi mal di pancia nel Movimento Cinque Stelle: perché esporsi subito pescando dal passato? Chi è Marra e quale rapporto lo lega alla sindaca e al M5S?

Lo scontro con Raineri e Minenna
Quattro giorni dopo Frongia viene revocato, ma Marra resta dov'è. Nonostante la prima richiesta esplicita di Beppe Grillo alla sindaca di spostarlo altrove, in un ruolo più defilato, fino al 7 settembre rimane nell'ufficio di gabinetto. E decide. Cominciano immediatamente le ruggini con l'allora capo di gabinetto Carla Romana Raineri e con il superassessore Marcello Minenna. Secondo i due, sarebbe di Marra la “manina” dietro la nomina, a loro avviso illegittima, di Salvatore Romeo, avvenuta in pieno agosto, approfittando dell'assenza della responsabile delle Risorse umane (poi prontamente allontanata): un passaggio da semplice funzionario a caposegreteria della sindaca, con stipendio triplicato da 40mila a 120mila euro, salvo correzione lo scorso 30 settembre per abbassarlo a 93mila euro. Nomina, quella di Romeo, finita nel mirino della procura di Roma e dell'Anac.

Il raggio magico
Ma ci sarebbe Marra anche dietro quello che da Raineri e Minenna viene letto come il siluramento della magistrata alla guida del gabinetto, il 31 agosto, da cui è scaturita la raffica di dimissioni del 1° settembre: basta leggere il dossier che Raineri ha depositato davanti ai magistrati. E che racconta le manovre e il pressing del “raggio magico” (Raggi, Frongia, Marra e Romeo), descritto come il centro decisionale e nevralgico del Campidoglio. Con Marra nel ruolo di vero capo di gabinetto, Romeo “assessore ombra” alle partecipate, onnipresente, e Andrea Mazzillo, assunto nello staff della sindaca e oggi assessore al Bilancio, come “assessore ombra” al Bilancio, appunto. Quel che nessuno riesce a spiegare con esattezza è cosa lega i cinque: si mormora di dossier interni, veleni e ricatti che risalgono al periodo in cui Raggi e Frongia erano consiglieri. Ma la verità è che non è stato mai chiarito.

La resa del direttorio
Il 5 settembre scoppia la vicenda Muraro, con l'ammissione dell'assessora all'Ambiente di essere indagata per violazione del Testo unico sull'ambiente. Lo strascico è noto: le mail che inguaiano il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, le nuove tensioni nel Movimento. Il 5 settembre il direttorio nazionale e il mini-direttorio chiedono ufficialmente a Raggi di rinunciare a Marra, Romeo e Muraro. Il 7 settembre Marra viene nominato a capo del personale del Campidoglio: 23mila dipendenti, una città nella città. Muraro viene difesa (ancora oggi che si è dimessa). Romeo rimane capo segreteria. Perplessi molti parlamentari pentastellati. Dal comune si limitano a rassicurare: l'incarico di Marra è a tempo, si concluderà il 31 ottobre. Sappiamo come è finita: l'interpello, la rotazione dei dirigenti e Marra rimasto lì, con incarico triennale. Con il mini-direttorio che lascia e il direttorio che va in frantumi.

Di lì a poco, il 15 settembre, la deputata Roberta Lombardi scrive su Facebook: «Qualcuno si è autodefinito lo spermatozoo che ha fecondato il Movimento. Io penso che la definizione esatta sia “il virus che ha infettato il Movimento”». Quel qualcuno è Raffaele Marra. Il post è condiviso da un'altra deputata, Carla Ruocco, insieme a Lombardi la più critica nei confronti delle scelte della sindaca. Ma ancora una volta i vertici M5S decidono la linea morbida: piena autonomia a Raggi. «Oneri e onori», ripetono in coro Di Maio e Alessandro Di Battista. Si consuma in quel momento la rottura tra i “pragmatici” e gli “ortodossi”, capitanati da Roberto Fico, che invocano un ritorno alla purezza del M5S.

La lezione per il M5S
Si arriva all'oggi. Con il Movimento che si ritrova il macigno Roma sulle spalle proprio mentre incassa la vittoria del No al referendum e corre in solitudine verso il governo nazionale. Ieri dal blog di Grillo il M5S aveva definito una bufala le perquisizioni in Campidoglio (sono acquisizioni di atti, ha precisato) e aveva avvertito: «Il Movimento è sotto attacco e presto, mano a mano che ci avvicineremo alle politiche, sarà molto peggio». Probabilmente è vero. Ma allo stesso modo è vero che l'affaire romano è stato affrontato tardi e male. Troppi inciampi, troppi tentennamenti, troppe valutazioni di opportunità politica che chi fa dello slogan “onestà onestà onestà” la sua bandiera dovrebbe fare meno degli altri. Adesso Grillo e Casaleggio sono davanti a un bivio.

Possono togliere il simbolo a quel che resta della giunta Raggi, facendo pubblica ammenda e imparando la lezione: al timone di una città, come del Paese, bisogna andare preparati, con una classe dirigente realmente all'altezza capace di realizzare il programma. Oppure possono continuare a difendere la sindaca senza spostarsi dalla linea dettata stamattina - scaricare Marra ovvero liquidarlo come un semplice tecnico - e limitandosi a “commissariarla” con nuove strutture simil-direttorio. Ma rischiando il voltafaccia dei cittadini. Per i Cinque Stelle questo è in ogni caso il primo vero bagno di realtà. Molto più delle firme false.

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