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Le quattro scelte del bondista Mps

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Le quattro scelte del bondista Mps

  • –Vito Lops

Ore decisive per l’aumento di capitale di Banca Mps e per i 40mila piccoli obbligazionisti che detengono in portafoglio il titolo subordinato in scadenza 2018 (codice Isin IT0004352586). L’istituto senese - per evitare la nazionalizzazione o il bail-in - ha giocato l’ultima carta. Ha esteso - grazie anche all’ok della Consob che nella vicenda è parsa di manica larga nell’interpretazione della Mifid sui profili di rischio dei risparmiatori - la possibilità agli obbligazionisti retail in possesso del bond subordinato di cui sopra di convertirlo in azioni.

Nell’ipotesi migliore per la banca questo esercito di 40mila obbligazionisti eserciterà la conversione (il cui termine ultimo scade alle ore 14 di mercoledì 21 dicembre, quindi fra circa 24 ore) finanziando difatti 2 dei 5 miliardi necessari per l’aumento di capitale che la Bce ha imposto, senza deroghe e proroghe, entro il 31 dicembre.

In ogni caso, sono molte le domande che frullano nella testa del piccolo obbligazionista, che sta vivendo in queste ore concitate il classico dilemma del prigioniero: consapevole che in ogni caso ci perderà qualcosa, quale è la soluzione che gli consentirebbe di perdere meno?

Posto che allo stato attuale il piccolo obbligazionista sta già perdendo il 50% sul prezzo dell’obbligazione (vale 50 ed è stata emessa a 100), perdita che non riesce a controbilanciare l’incasso cedolare che dal 2008 ha prodotto circa un 25% di interessi, proviamo ad analizzare quattro possibili scenari, escludendo al momento il bail-in, ovvero il dissesto della banca con coinvolgimento finale di obbligazionisti senior e correntisti oltre quota 100mila euro.

Effettuo la conversione e aumento di capitale va in porto

La conversione delle obbligazioni in azioni è subordinata al buon esito dell’aumento di capitale. Quindi chi intende convertire in bond in azioni dovrà:

recarsi in banca e firmare il “documento di Offerta”;

nel caso il suo precedente profilo di rischio non gli permetta di avere azioni in portafoglio (come previsto dalla normativa Mifid) dovrà firmare una clausola attraverso la quale certifica di assumersi questo rischio dichiarando che non vi sia stata sollecitazione a farlo da parte della banca;

attendere che - nonostante la sua adesione - l’aumento di capitale vada effettivamente in porto entro il 31 dicembre.

In presenza di queste condizioni vedrà inizialmente un recupero del valore dell’obbligazione: l’obbligazione verrà rimborsata non al valore di mercato di 50 ma di 100. Questi 100 però dovranno essere spesi per l’acquisto delle nuove azioni Mps. Non è da escludere che le nuove azioni subiscano una perdita - e anche rilevante - nei primi giorni di contrattazione post-aumento.

Non effettuo la conversione e aumento di capitale va in porto

Nel caso in cui una fetta di piccoli obbligazionisti non aderisca al piano di conversione volontaria ma l’aumento di capitale vada comunque in porto (perché la fetta più grande vi ha aderito avvicinando la banca a raccogliere dal bond subordinato i 2 miliardi necessari) questi resterebbero obbligazionisti e probabilmente vedrebbero risalire oltre 50 il valore dell’obbligazione, sperando di portarla a scadenza e incassare 100. In questa ipotesi non ci sarebbe perdita. Si tratta di un’ipotesi remota e, peraltro, impossibile da praticare per tutti. Molto semplicemente, perché se tutti i piccoli obbligazionisti ragionassero in questi termini, salterebbe il piano di conversione e con esso l’aumento di capitale.

Effettuo la conversione ma aumento di capitale salta

Come dicevamo non è detto che - pur con numerose adesioni dei piccoli risparmiatori - l’aumento di capitale vada in porto. Questo è condizionato anche all’intervento di fondi stranieri. L’aumento di capitale potrebbe saltare anche nel caso le adesioni dei piccoli obbligazionisti siano basse. In questo scenario chi ha aderito alla conversione di bond in azioni vedrà cadere la conversione e tornerà ad essere obbligazionista. O meglio, non diventerà mai azionista. A quel punto si aprono due sotto-scenari: 1) interviene lo Stato con la formula del burden-sharing; 2) Mps fa ricorso al bail-in.

Interviene lo Stato con la formula del burden-sharing

Il burden-sharing prevede che prima del coinvolgimento dello Stato in un piano di salvataggio bancario, a risponderne sia gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati.

Secondo questa via - la stessa seguita a novembre 2015 per il salvataggio di Banca Etruria, Banca delle Marche, Cariferrara e Carichieti - il piccolo obbligazionista subordinato inizialmente ci perde sicuramente di più rispetto allo scenario 1, quello della conversione volontaria del bond in azioni. Ci perde di più perché il valore delle obbligazioni, da cui si attingerà per trovare i fondi del salvataggio, è probabilmente destinato ad azzerarsi o, nella migliore delle ipotesi, a scendere ulteriormente rispetto all’attuale prezzo di mercato pari a 50. Ciò che non è al momento noto è se e di quale ammontare sarebbe un eventuale indennizzo successivo da parte dello Stato ai piccoli obbligazionisti subordinati.

Nel caso delle quattro banche salvate a fine 2015 sono stati stanziati per decreto dei rimborsi pari all’80% del valore dell’obbligazione, ma sono stati indirizzati solo a coloro che sono riusciti a dimostrare di non essere realmente consapevoli, al momento dell’acquisto in banca, dei reali rischi a cui un’obbligazione subordinata li esponeva. L’eventuale indennizzo dello Stato, però, non è noto. Ed è qui che il dilemma del prigioniero si fa più duro.

.@vitolops

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