Il tunisino Anis Amri, autore della strage di Berlino, si sarebbe «radicalizzato in Italia, nel carcere di Agrigento». In prigone ha avuto comportamenti violenti, arrivando a minacciare un altro detenuto: «Sei un cristiano, ti taglio la testa». È quanto emerge dai documenti in mano alla procura di Roma mentre prosegue la caccia all’uomo, in Germania e nell’area Schengen, Italia compresa. «Lo cerchiamo in tutta Europa» ha detto ieri Angela Merkel che ha anche ammesso: «Era noto da tempo alla polizia tedesca». Intanto la procura generale di Berlino ha le prove che è stato il tunisino a guidare il Tir contro la folla al mercatino di Natale della Breitscheidplatz: le sue impronte digitali sono state trovate nella cabina. Per questo il ministro dell’Interno tedesco Thomas De Maizière ha ottenuto un mandato di cattura internazionale che ha sostituito l’ordine di ricerca di mercoledì. Amri è stato filmato dalle autorità di sicurezza 8 ore dopo l’attentato di fronte all’associazione-moschea “Fussilet 33”, nel quartiere di Moabit della capitale, perquisita oggi dalla polizia.
La radicalizzazione
Sono i documenti della Procura della Repubblica di Roma a restituire il retroscena dell’indottrinamento di Amri all’interno dei penitenziari siciliani, dopo essere stato condannato per gli scontri del 2011 nel Centro di identificazione di Lampedusa. In quattro anni il giovane passa dal carcere di Catania a quello di Enna, poi Sciacca, Agrigento e Palermo, dove sarebbe entrato in contatto con predicatori di origine tunisina. Ma non solo, perché nei documenti che in queste ore stanno giungendo sulla scrivania del procuratore aggiunto di Roma Francesco Caporale e del sostituto Francesco Scavo, emergono le minacce che avrebbe fatto ai danni di un detenuto cristiano, cui avrebbe detto «ti taglio la testa». Il Dipartimento amministrazione penitenziaria rivela di aver segnalato al Comitato analisi strategica antiterrorismo comportamenti sospetti del tunisino, notati durate il periodo di detenzione. I particolari sono riportati in una informativa che illustra il «profilo di radicalizzazione seguito da Amri» e gli «episodi in cui ha manifestato forme di adesione ideale al terrorismo di matrice islamica». Nelle stesse informative dei carabinieri del Ros, i penitenziari italiani sono indicati come luoghi in cui la «attività di proselitismo religioso» è «diretta e svolta in modo tale da aumentare il numero di persone potenzialmente pronte a compiere atti di violenza con finalità di terrorismo». Un vero e proprio «arruolamento» su soggetti «già ideologicamente radicalizzati».
L’ipotesi sulla quale gli inquirenti italiani stanno lavorando riguarda anche i rapporti che il 24enne potrebbe aver avuto con cellule presenti nel Sud Italia, che avrebbe sfruttato per ottenere un documento italiano falsificato e raggiungere in Germania Ahmad Abdelazziz, nome di battaglia Abu Walaa, tra i principali reclutatori dell’Isis in Europa, arrestato dalla polizia tedesca a novembre 2016. D’altronde sono le stesse indagini del Ros a evidenziare la presenza di cellule jihadiste nel Sud Italia, come una in Puglia e collegata all’organizzazione terroristica Ansar al Islam che si occupava di pianificare i viaggi dei migranti irregolari verso il Nord Europa. Intanto un fascicolo d’indagine è stato aperto anche dalla Procura della Repubblica di Palermo, che intende ricostruire il periodo di detenzione di Amri in Sicilia. Dai documenti finiti nel fascicolo emergono 12 atti di violenza che hanno portato ad ammonizioni e richiami, oltre che all’esclusione dall’attività comune con gli altri detenuti. Così si scopre che a giugno 2013 compie intimidazioni e sopraffazioni su alcuni compagni di cella, mentre ad agosto e settembre 2014 organizza disordini e sommosse.
Le parole di Angela Merkel
Angela Merkel ieri ha parlato di nuovo alla Germania per rassicurare i tedeschi e per ringraziarli, cercando di allontanare le inevitabili critiche e polemiche per l’evidente fallimento dell’attività di intelligence e prevenzione: «Lo cerchiamo in tutta Europa e lo troveremo presto. Sono fiera di come la cittadinanza ha reagito con calma e compostezza alla situazione. Supereremo anche questa prova». Ma la cancelliera, nel giorno più difficile dei suoi undici anni al governo, ha anche ammesso che «Anis Amri era da tempo noto alla polizia tedesca».
La no-fly list americana
Amri era talmente noto che a giugno l’intelligence tedesca lo aveva segnalato agli Stati Uniti che prontamente lo avevano inserito nella lista delle persone “sotto osservazione” e il mese scorso, avendo ricevuto dalla Germania ulteriori informazioni sul tunisino, avevano messo Amri nella no-fly list. Arrivato nel paese a luglio 2015, il giovane era presto finito nel radar dei servizi per i suoi legami con il predicatore salafita Walaa. Gli investigatori avevano aperto un’indagine a suo carico, in Nordreno-Vestfalia, il Land dove il tunisino ha soggiornato a lungo. I servizi lo tenevano sotto controllo perché sarebbe stato pronto a diventare un kamikaze e stava cercando di procurarsi il denaro per comprare armi automatiche.
I particolari sul curriculum criminale del ragazzo aggiungono benzina alle polemiche. Sembra anche che Amri abbia partecipato ad addestramenti in Bassa Sassonia: zaino pesante in spalla si preparava ad andare a combattere in Siria. Il problema è che la legge tedesca è molto restrittiva in fatto di sorveglianza, tutelando la privacy più di altri Paesi. Ci sono limiti severi ai controlli preventivi, restrizioni alle intercettazioni, soprattutto a quelle ambientali, al punto che sembra per questo essere stata una destinazione privilegiata anche delle mafie italiane. Soltanto qualche mese fa il governo aveva presentato un disegno di legge per ampliare le possibilità di sorveglianza con le videocamere. Le nuove norme sono state approvate dal Bundestag mercoledì, due giorni dopo la strage.
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