
Da oggi l'Italia ha assunto la presidenza del G7 ed è entrata come membro non permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di cui avrà la presidenza nel mese di novembre. Sempre dal 1° gennaio l'Italia è entrata anche nella trojka dell'Osce di cui guiderà il gruppo di contatto sul Mediterraneo. E sarà proprio il Mediterraneo la priorità in politica estera che il neo premier ed ex ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni ritiene debba essere seguita con attenzione perché sia sul fronte sicurezza che su quello economico è proprio dalla sponda Sud del Mediterraneo che possono giungere le principali minacce al nostro Paese. Del resto era stato proprio Gentiloni nel dicembre del 2015 a riunire a Roma per la prima volta nei “dialoghi sul Mediterraneo” i principali attori internazionali politici e diplomatici (dal ministro degli Esteri russo, Lavrov, a quello americano, Kerry) per avviare a soluzione la crisi siriana e aprire la strada al nuovo governo libico di unità nazionale presieduto poi da Serraj.
Il ruolo dell'Italia nel G7 e all'Onu, ha garantito Gentiloni durante la conferenza stampa di fine anno, «sarà quello di sempre, il Paese che conosciamo» fermo nei valori di libertà e democrazia, grande contributore delle coalizioni e missioni internazionali dall'Iraq all'Afghanistan ma soprattutto partner fondamentale nell'Unione europea e nella Nato. Questo non vuol dire trascurare la difesa degli interessi nazionali ove venissero messi in discussione. Lo ha spiegato bene il presidente del Consiglio quando ha ricordato che «è necessario che l'Italia, nella sua politica estera, abbia fermi i parametri Europa-Alleanza atlantica, ma abbia anche molto chiara la necessità di tenere da conto il nostro interesse nazionale». E per noi, per la nostra sicurezza e la nostra economia, quello che conta è appunto la «centralità del Mediterraneo» in una dinamica che «oggi vede protagonisti da un lato gli Stati falliti come Libia, Siria, Yemen e Somalia e dall'altra parte la frustrazione di alcuni Stati sovrani che si traduce in una politica nazionale molto pronunciata».
“La sponda Sud oggi vede protagonisti da un lato gli Stati falliti come Libia, Siria, Yemen e Somalia e dall'altra parte la frustrazione di alcuni Stati sovrani che si traduce in una politica nazionale molto pronunciata”
Paolo Gentiloni, presidente del Consiglio
Ancora è difficile prevedere se sarà proprio Gentiloni a fare da padrone di casa al G7 che si terrà a Taormina il 26 e 27 maggio prossimi. «Resto fino a quando avrò la fiducia del Parlamento», ha commentato Gentiloni che non si è spinto oltre nell'immaginare tempi di approvazione per la nuova legge elettorale. Tuttavia potrebbe essere proprio Gentiloni a dovere stringere la mano a Taormina al nuovo presidente americano Donald Trump. Ma la posizione dell'Italia nei confronti degli Stati Uniti non cambierà, ha assicurato il premier. «Ci sono cose che non cambiano – ha detto il premier - il rapporto tra Italia e Usa non è cambiato nel passaggio tra Kennedy e Nixon, Reagan e Clinton, Bush e Obama». Anzi, secondo il premier il governo di Roma potrebbe trovare un terreno comune nello sforzo per riprendere il dialogo con la Russia, la cui presenza nella comunità internazionale è decisiva per affrontare numerosi dossier globali.
Nel Consiglio di sicurezza dell'Onu l'Italia potrebbe avere un ruolo di riequlibrio nella questione israelo-palestinese. Il nostro Paese, ha annunciato Gentiloni, cercherà di «rimettere la questione al centro dell'Agenda delle Nazioni Unite». Perché non si può consentire «al terrorismo di matrice islamica di appropriarsi del conflitto palestinese, che nasce con un'altra storia». Occorre, invece, puntare alla soluzione due popoli, due Stati e, per questo, «l'annuncio di nuovi insediamenti non aiuta così come non aiuta isolare Israele nei consessi internazionali».
Un ruolo nelle Nazioni Unite l'Italia potrebbe averlo anche per la crisi siriana dal momento che, come ha ricordato il premier, «l'accordo che ha portato a un cessate-il-fuoco in Siria, sulla base della collaborazione tra Russia e Turchia, è “fragile” e un punto di caduta credibile per la soluzione del conflitto siriano può essere mediato solo nella sede delle Nazioni unite. Il messaggio dell'Italia è che la soluzione passa per l'apertura di un negoziato che veda una transizione gestita dall'Onu».
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