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L’ultimo miglio per un vero salto di qualità

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L’analisi

L’ultimo miglio per un vero salto di qualità

Le classifiche del Sole 24 Ore fotografano un’università italiana in forte movimento dopo i cambiamenti intercorsi negli ultimi anni, e nonostante un pezzo di strada ancora da fare. Quattro mi sembrano gli aspetti degni di nota.

In primo luogo l’affermazione dei costi standard, giunti al quarto anno di applicazione e caso unico nella pubblica amministrazione. Essi, applicati saggiamente con gradualità e pur meritando ora alcuni aggiustamenti, rappresentano un fatto di grande valore politico.

Da sottolineare anche il completamento della seconda «Vqr», la “valutazione della qualità della ricerca”. Rispetto a quella iniziale, che si riferiva al periodo 2004-2010, la nuova sembra evidenziare una maggiore qualità diffusa nelle Università italiane. Restano le differenze tra gli Atenei ma possiamo dire che i vagoni lenti hanno accelerato senza rallentare quelli veloci.

Come terzo punto, va senza dubbio rilevato un sistema di finanziamento che ormai attribuisce su base competitiva più della metà dei fondi. Si tratta di un traguardo che vede l’Università italiana primeggiare a livello europeo.

Infine, una ritrovata unità del sistema universitario pur all’interno di un contesto di risorse decrescenti e nella valorizzazione delle differenze che pure esistono.

Nell’ultimo periodo, poi, pare essersi arrestata l’emorragia di studenti, anche in molte università del Sud, a testimonianza del lavoro svolto da dirigenti coraggiosi e accademici determinati. Ovviamente, il diritto allo studio, oggi insufficiente, resta fondamentale e questo Parlamento ha dimostrato una consapevolezza e una volontà ben oltre i confini della maggioranza governativa.

Fin qui le note positive che, per una volta, vale la pena menzionare prima delle dolenti. Sui fondi, inutile continuare a citare i tagli effettuati dal 2008; si sappia però, per evitare confronti davvero impropri, che le entrate correnti della sola Harvard o di Stanford valgono più di due terzi di tutto il finanziamento italiano. E che questo è un terzo di quello tedesco.

“Le entrate correnti della sola Harvard o di Stanford valgono più di due terzi di tutto il finanziamento italiano. E che questo è un terzo di quello tedesco”

 

In realtà, la questione più urgente è quella giovanile. Due numeri: diecimila dottori di ricerca all’anno che si battono per meno di mille posizioni di ricercatore. E poi, pochissimi professori con meno di 40 e 50 anni e con dinamiche salariali tali per cui il loro stipendio è inferiore alla pensione dei colleghi più anziani. Se non si interviene, anche ciò che di buono è stato fatto negli ultimi anni rischia di essere messo in discussione.

Oggi il Governo ha davanti a sé un’agenda chiara e, aldilà delle modalità scelte per alcune iniziative (le cosiddette cattedre Natta), che a mio avviso vanno corrette (per esempio trasformandole in un piano “giovani ricercatori eccellenti” selezionati secondo standard internazionali), c’è spazio politico anche in questo ultimo scorcio di legislatura. Mi permetto di suggerire pochi punti, rivolti in prevalenza ai giovani:

1) rivedere le modalità di ingresso in università, oggi estenuanti fino alla patologia, e consentire ai bravi di entrare presto e agli altri di dirigersi verso altre strade;

2) ridurre il gap tra dottori di ricerca e nuovi ricercatori per evitare frustrazioni e brain drain;

3) aumentare la libera circolazione dei ricercatori, favorendo la mobilità tra gli atenei italiani;

4) promuovere in sede europea più libertà, che equivale a più opportunità: più libertà di movimento, attraverso il riconoscimento di un unico piano previdenziale; più libertà di ricerca e di didattica attraverso la promozione di progetti e carriere multidisciplinari sui grandi temi della società; più libertà di gestione, cioè maggiore flessibilità amministrativa in cambio della certificazione esterna dei bilanci; più flessibilità nel valutare le risorse umane con percorsi di carriera accelerati e premi al risultato.

A fronte di queste richieste, spesso prive di impatto economico,
alle università è chiesto di fare ogni sforzo affinché la loro attività sia il più possibile di impatto per la società.

C’è da far ripartire il Paese, si devono accendere i motori, quelli della conoscenza e quelli di una nuova industria. Non perdiamo questa occasione.

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