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Regioni divise verso il tavolo con il Governo

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Regioni divise verso il tavolo con il Governo

  • –Marta Paris

Il banco di prova sarà il 19 gennaio, quando il piano del Viminale che prevede le nuove strutture territoriali per l’identificazione e l’espulsione sarà presentato alla Conferenza Stato-Regioni. Un tavolo dove si dice pronto ad aprire un confronto «serio e di merito» il presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini (Pd), governatore dell’Emilia Romagna. Il piano del Viminale infatti sembra segnare discontinuità dal vecchio modello. «Se si trattasse di ripristinare i Cie di prima sarei assolutamente contrario - sottolinea - perché luoghi non adeguati allo scopo che si erano prefissati, né capaci di garantire efficienza e trasparenza. Ma sono interessato al piano indicato dal ministro perché sembrerebbe avere tutt’altre caratteristiche». Dunque disponibilità al confronto. «Anche per questo – spiega Bonaccini – abbiamo concordato insieme a Minniti la sua presenza alla Conferenza delle Regioni».

Tuttavia i governatori che per ora si sono espressi non hanno indicato posizioni facilmente conciliabili. A ritenere che «quella dei rimpatri, forzosi o volontari, non è più un’opzione rinviabile» è Debora Serracchiani (Pd). Per la presidente del Friuli Venezia Giulia servono «strutture adatte allo scopo: “piccole e agili”. Che poi queste strutture si chiamino Cie o con altro nome, poco cambia se radicalmente muta la sostanza». E invita a stemperare le contrapposizioni in nome della collaborazione. Non per niente il piano del Viminale «sarà condiviso nella prossima Conferenza Stato-Regioni». E in quella sede «prevarrà il senso di responsabilità di tutte le istituzioni».

La possibilità di istituire nuovi centri di identificazione ed espulsione era già uno dei punti del documento che i governatori di centrodestra Giovanni Toti (Liguria), Roberto Maroni (Lombardia) e Luca Zaia (Veneto) avevano presentato a settembre al governo Renzi per risolvere il problema immigrati. Ma i Cie – è la loro posizione – rischiano di rimanere una utopia senza espulsioni, accordi internazionali e respingimenti. «Chi entra illegalmente – ha detto Toti nei giorni scorsi – deve essere messo in un Cie, dove sta chiuso lì finché le nostre autorità non decidono cosa fare di lui». Poi ha aggiunto: «Le nostre forze navali a largo del Mediterraneo sono in grado di effettuare i respingimenti, e quello bisogna fare». Su Facebook Maroni invece ha ripreso le parole del capogruppo della Lega alla Camera Massimiliano Fedriga: «Bene Fedriga, servono rimpatri forzati e respingimenti, come facevo io da ministro dell’Interno». Sui Cie Fedriga aveva detto: «Rimpatri forzati e respingimenti. Va bene ripristinare i Cie ma non basta». Critico anche Zaia: «Sui Cie ci hanno detto fino a ieri che è difficile espellere gli immigrati. Poi vorrei sapere dove trovare strutture nelle regioni». In queste condizioni i Cie sono «un’utopia».

Esprime una posizione critica, anche se dal centrosinistra, il governatore della Toscana, Enrico Rossi (Pd), che ha pubblicato su Facebook una lettera aperta al ministro dell’Interno dal titolo evocativo «Il nome della cosa non può essere Cie» rimandando a Umberto Eco. Bene – dice Rossi – volere affrontare e risolvere il problema dell’immigrazione «importante e decisivo per il futuro economico sociale, per la sicurezza e per la politica nel nostro Paese». Il governatore però si chiede che «senso ha sui Cie dare ragione alla destra» e tirargli la “volata”, dopo che in gran parte «erano già stati chiusi perché non solo violano i più semplici diritti umani ma sono anche inefficaci?». I Cie, spiega, «sono stati già un fallimento e non devono essere riproposti». Per Rossi occorre «rivedere la legge Bossi-Fini che non funziona, ostacola l’integrazione e crea clandestini» non è «degna di un Paese moderno e civile». Il governatore della Toscana mette in luce il fallimento del modello di accoglienza incentrato su «prefetture, grandi centri e mega appalti alle cooperative». E indica la strada di altri esempi che funzionano «basati sull’accoglienza diffusa, sul ruolo dei comuni, sulla formazione sull’addestramento lavorativo» invitando il governo ad «adottare queste esperienze e farne il modello di riferimento per tutta l’Italia»

Pareri non propriamente convergenti anche tra Sindaci: «Per noi l’unico modello di accoglienza vincente e possibile è lo Sprar» (il sistema di “seconda accoglienza” di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, gestito dagli enti locali), avverte il presidente di Anci Lombardia e sindaco di Monza Roberto Scanagatti. Nello schieramento dei sindaci però c’è anche chi sostiene l’operato di Minniti. Come il delegato Anci alla finanza locale, nonché sindaco di Ascoli, Guido Castelli. «Noto una certa discontinuità tra Minniti e Alfano e questo fa pensare che in qualche modo ci sia un ripensamento sulle modalità di gestione dei migranti».

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