La trattativa con l’Europa sulla correzione dei conti e anche il ritocco al ribasso delle stime del Fmi sulla crescita, mettono a fuoco quello che è il vero nodo del Governo Gentiloni. Che non è tanto la manovra correttiva che vale qualche decimale di punto, ma la strategia economica complessiva a maggior ragione se la legislatura dovesse allungarsi fino al 2018. Non si tratta, insomma, di vedere se i toni del premier assomiglieranno a quelli di Renzi - per quanto sia difficile immaginarlo litigare a distanza con Juncker o la Merkel - ma di verificare se cambierà qualcosa nella sostanza delle scelte europee dopo la sconfitta referendaria.
Tra i dati politici più pesanti del 4 dicembre c’è stata – infatti - la bocciatura delle misure dell’ex Esecutivo su cui sarà necessario un ripensamento. Ed è qui che tornerà l’antico dilemma che ha attraversato anche gli ultimi tempi della gestione renziana: se continuare a muoversi sul filo degli “zero virgola” o se mettere nel conto uno sforamento più corposo delle regole Ue per tirare su il Pil.
Oggi, come ieri, esistono due linee nel Pd e nel Governo su cui si sta ancora ragionando e che molto dipendono anche dalla piega che prenderà il negoziato con Bruxelles. Nell’intervista rilasciata a Giovanni Minoli a La 7, per esempio, il ministro Calenda è apparso più orientato a spingere sugli investimenti anche a costo di prendere qualche rischio in Europa e questa linea potrebbe avanzare a fronte dell’urgenza politica di ritrovare un feeling con l’opinione pubblica.
È vero quello che dice Giorgio Tonini, presidente della commissione Bilancio al Senato, che finora ci si è mossi “tra Scilla e Cariddi”, tra i richiami della Ue e il tentativo di prendersi margini di flessibilità, ma visto che quel crinale non ha portato i risultati attesi e che la politica dei “piccoli passi” non ha giovato al Pd, torna il grande dilemma europeo. Ecco, su questo passaggio sarà solo Renzi a decidere o si aprirà una dialettica con Gentiloni? Magari anche tenendo conto dell’opinione del Colle? E soprattutto sulle ricette economiche che si dovranno scrivere nel Def di aprile (quando occorrerà stabilire come far fronte alle clausole di salvaguardia che valgono circa 18 miliardi) sarà ancora e solo il leader del Pd a scegliere?
Nell’intervista a Repubblica di domenica scorsa, l’ex premier continua a rivendicare la sua politica economica – dagli 80 euro al taglio dell’Imu – nonostante gli scarsi risultati sulla crescita e le varie batoste elettorali, dalle amministrative fino al referendum. La prova più lampante è stata la sconfitta proprio nelle aree di più forte disagio economico, a partire dal Sud e dalle periferie italiane, dove quelle misure non hanno inciso.
Dunque sia sulla scelta di quale delle due linee abbracciare – quella più prudenziale di Padoan e quella più problematica di Calenda – sia sulla strategia economica, Gentiloni dovrà chiarire da che parte sta e se darà il via a un cambio di marcia. Non sono tanto le correzioni di marzo la “prova” di Gentiloni, ma il Def ad aprile che chiarirà se l’Italia è ancora tra Scilla e Cariddi o se ha scelto una direzione. E se in questa scelta avrà tenuto l'asse con Renzi.
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