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«Lavoro 2025», il M5S prova ad allungare lo sguardo

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«Lavoro 2025», il M5S prova ad allungare lo sguardo

  • –Manuela Perrone

ROMA

È sul lavoro - il tema che si rivelerà cruciale in senso pratico e politico per il nostro Paese, anche nella prossima campagna elettorale - che il Movimento Cinque Stelle tenta lo scatto nella direzione di una rappresentazione più complessa della realtà. Che vada oltre gli slogan e il cavallo di battaglia del reddito di cittadinanza e allarghi lo sguardo alle dinamiche che segneranno le trasformazioni economiche e sociali da qui a dieci anni. Lo sforzo arriva con la ricerca previsionale “Lavoro 2025. Come evolverà il lavoro nel prossimo decennio”, coordinata dal sociologo Domenico De Masi e condotta secondo il metodo scientifico Delphi con la collaborazione di undici esperti di varia estrazione (Leonardo Becchetti, Federico Butera, Nicola Cacace, Luca De Biase, Donata Francescato, Fabiano Longoni, Walter Passerini, Umberto Romagnoli, Riccardo Staglianò e Michele Tiraboschi, ciascuno ignaro di chi fossero gli altri e di chi fosse il committente), ai cui risultati sarà dedicata una “due giorni” di dibattito in programma alla Camera domani e dopodomani. Probabile la presenza di Beppe Grillo.

Rispetto all’analogo tentativo di approfondimento sull’energia, che non a caso è il primo capitolo del programma di governo messo ai voti sulla piattaforma Rousseau, qui la differenza è sostanziale: si esce dalla cerchia di tecnici vicini all’ortodossia Cinque Stelle e si attinge da competenze trasversali per delineare lo scenario in cui le politiche del lavoro dovranno essere calate. Il motto? «Prevedere per programmare», come ripetono i deputati pentastellati Tiziana Ciprini e Claudio Cominardi.

Non è catastrofico il quadro che emerge dallo studio: l’Italia del 2025 non vivrà alcun nuovo miracolo economico (il Pil crescerà dell'1,3% annuo, la produttività dello 0,9% e l’occupazione dello 0,4%), ma neanche una decrescita o una completa débâcle. Piuttosto si assisterà a una faticosa transizione verso una produzione concentrata sull’“immateriale”, appesantita dai ritardi con cui finora si è investito in scuola, ricerca e formazione, anche manageriale, e con cui l’organizzazione del lavoro si è adeguata ai valori della società postindustriale.

C'è molto della “filosofia” del Movimento nei risultati dello studio: l’accento quasi ossessivo sul ruolo delle tecnologie e sul digital divide, l’enfasi sull’economia circolare e il turismo culturale, la robotizzazione, l’ossigeno connesso all’ingresso dei millennials nel mercato del lavoro, l’allarme per la disoccupazione tecnologica. Robot e software nel 2025 creeranno 13 milioni di nuovi posti di lavoro, ma ne distruggeranno 22 milioni. È l’automazione, bellezza. Che cancella non soltanto mansioni manuali, ma anche quelle intellettuali esecutive. Con riverberi inevitabili sul welfare che, complice l’invecchiamento della popolazione (tra dieci anni il rapporto tra over 65 e persone in età attiva salirà dal 33,9% del 2015 al 42,6%) e l’aumento delle disuguaglianze, cambierà pelle. Secondo le previsioni della ricerca, sarà sempre più la dualità pubblico-privato a giungere in soccorso e si istituirà al contempo un reddito di cittadinanza, né universale né permanente, che assicuri ai poveri la sussistenza. È un assist al refrain politico del M5S. Ma inquadrato in uno scenario di “universalismo selettivo” molto più articolato che contempla la spinta al welfare aziendale attraverso la defiscalizzazione, la ristrutturazione degli ammortizzatori sociali, l’insistenza sull’inclusione lavorativa.

Gli esperti raccontano di un tasso di occupazione che crescerà dal 56% attuale al 59%, merito soprattutto della riduzione della popolazione tra i 15 e i 64 anni, e di un tasso di disoccupazione che scenderà sotto il 10 per cento. Dipingono una durata annua media del lavoro che calerà del 14%, da 1.800 a 1.500 ore, e un’attività sempre più polverizzata e smart. Immaginano una distribuzione percentuale degli addetti tra agricoltura, industria e servizi non distante dall'attuale: 6%, 23% e 71%. Si soffermano sull’impatto dei flussi migratori (circa 200mila unità l'anno da qui al 2025). Tema sensibile, per i Cinque Stelle, che contendono alla Lega gli elettori di centrodestra. Ma il rapporto parla chiaro: anche se gli immigrati continueranno a concentrarsi sui profili professionali medio-bassi e ad alimentare paure e tensioni, saranno determinanti per abbassare l’età media della forza lavoro e allentare la pressione sui sistemi di welfare.

Cruciale, anche per evitare un aumento esponenziale dei Neet (la massa di coloro che non studiano né lavorano) è considerata la formazione, il vulnus italiano forse più grave: fatti 100 i giovani in età universitaria, in Corea 98 sono iscritti all’università, 94 negli Usa, 76 in Russia, appena 36 in Italia. Quando tutti gli indicatori dimostrano che numero di laureati e sviluppo sono direttamente proporzionali. Ma si prevede che la situazione possa e debba migliorare, a patto di introdurre gli opportuni correttivi.

Quanto e come i Cinque Stelle faranno tesoro delle previsioni proponendo ricette credibili, pure sul nodo pensioni, si scoprirà soltanto quando sarà completata la bozza di programma cui stanno lavorando i parlamentari. Per ora attaccano il Jobs Act e la «precarizzazione» impressa con i voucher. Ma studiano, anche, avvalendosi di voci indipendenti. E questo è un salto di qualità: dalla “pancia” alla testa.

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