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Caso Cucchi, tre carabinieri accusati di omicidio

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Caso Cucchi, tre carabinieri accusati di omicidio

  • –Ivan Cimmarusti

Stefano Cucchi fu pestato a sangue con «schiaffi, pugni e calci» e sottoposto a «misure di rigore» non consentite dalla legge. La lenta agonia del geometra è iniziata nella stazione dei carabinieri Appia a Roma nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009, per poi concludersi il 22 ottobre nel reparto di medicina protetta dell’ospedale Sandro Pertini, dove è morto.

Omicidio preterintenzionale. È l’accusa che pende su tre carabinieri: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, autori delle presunte violenze. Dei reati di abuso di autorità contro detenuti, calunnia e falso in verbale di arresto, rispondono anche il maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca comandante della stazione Appia, e il carabiniere Vincenzo Nicolardi. A queste conclusioni sono giunti il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e il sostituto Giovanni Musarò nel procedimento bis per l’omicidio Cucchi. I magistrati hanno ricostruito ogni singolo passaggio di tutta la vicenda, cercando di sbrogliare una matassa fatta di depistaggi e tentativi di addebitare la responsabilità delle violenze ad agenti della polizia Penitenziaria, usciti comunque assolti dai processi.

Cucchi sarebbe stato ripetutamente colpito con «schiaffi, pugni e calci, - si legge nei capi d’imputazione - fra l’altro provocandone una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale» che hanno causato «lesioni personali che sarebbero state guaribili in almeno 180 giorni e in parte con esiti permanenti, ma che nel caso di specie, unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura il Cucchi presso la struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini, ne determinarono la morte». Non solo: dopo l’aggressione il 32enne, arrestato per detenzione e cessione di stupefacenti, sarebbe stato sottoposto a misure di detenzione fuori legge.

Tedesco, Mandolini e Nicolardi, inoltre, avrebbero fornito false testimonianze nel primo processo in Corte d’Assise in cui risultavano imputati alcuni della polizia Penitenziaria. In particolare accusavano «implicitamente» gli agenti che gestiscono il servizio camere di sicurezza del Tribunale penale di Roma a piazzale Clodio (adibite alla temporanea custodia degli arrestati in flagranza). Ma non solo, perché oltre a tacere le presunte gravi violenze compiute dai carabinieri, hanno nascosto anche lo stato comatoso in cui Cucchi era piombato dopo l’aggressione: «Non aveva alcun problema di salute - hanno detto nel corso della testimonianza in Corte d’Assise - era normale. Bene, per una persona che è tossicodipendente da tanti anni. Bene, deambulante, senza nessun problema fisico (...) come era all’atto dell’arresto così è stato portato». La Procura ha un ulteriore fascicolo aperto in cui sono indagati altri due carabinieri con l’accusa di falsa testimonianza al pm.

Esulta Ilaria Cucchi, sorella di Stefano: «Sicuramente si parlerà finalmente della verità, ovvero di omicidio». Per l’avvocato Eugenio Pini, difensore di uno degli indagati, tale contestazione «non potrà essere provata nel giudizio in quanto gli elementi di fatto su cui fonda non sono riscontrabili in atti e, tanto meno, nella perizia disposta dal gip con incidente probatorio».

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