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Minniti: alla Dia i controlli sulla ricostruzione

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Minniti: alla Dia i controlli sulla ricostruzione

  • –Marco Ludovico

ROMA

I danni del terremoto da agosto a ottobre «potrebbero essere quantificati in non meno di quattro miliardi». E i ritmi della ricostruzione «saranno via via crescenti». Di conseguenza ci sarà un «costante incremento del numero delle imprese da sottoporre alle prescritte verifiche antimafia».

A distanza di due settimane dal suo insediamento al Viminale Marco Minniti ha preso carta e penna e ha inviato una direttiva sul terremoto 2016 ai prefetti, al direttore della Direzione investigativa antimafia, generale Nunzio Ferla, e al direttore della struttura di missione ad hoc, prefetto Paolo Tronca.

La direttiva del ministro dell’Interno, dopo le scosse di ieri, è più che mai attuale: il rischio di infiltrazioni mafiose si moltiplica proprio negli scenari di grande difficoltà.

Ma già il 28 dicembre, data della direttiva, Minniti sollecitava e sottolineava la necessità di fare a tappeto «controlli amministrativi antimafia sugli appalti, pubblici e privati, per la ricostruzione», come recita il provvedimento. Il modello prevenzione preso a riferimento è quello di Expo. Ma stavolta è più complesso.

A differenza di Milano, infatti, vista «l’ampiezza del cratere e le dimensioni delle riparazioni da eseguire», è sorta la struttura di missione al Viminale. «Vigilerà sulla ricostruzione dei comuni» si legge sul sito del Viminale (www.interno.it) «in collaborazione con l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac)» presieduta da Raffaele Cantone.

La vigilanza e la prevenzione si fondano innanzitutto sulla ricognizione informativa delle imprese. La direttiva lo raccomanda: bisogna garantire che «i controlli siano espletati al più elevato livello possibile di approfondimento e completezza senza che ciò – avverte il ministro – vada a discapito dei tempi di avvio e conclusione degli interventi di risanamento, commissionati da soggetti pubblici e privati».

Qui la scelta di campo di Minniti: è «necessario che la Dia assuma un ruolo baricentrico nello svolgimento delle attività di raccolta degli elementi informativi – si legge – funzionali al rilascio dell’informazione antimafia e all’iscrizione nell’Anagrafe degli operatori economici interessati».

Non solo: «L’attribuzione alla Dia della funzione di centro di gravitazione principale dell’azione informativa garantirà l’indispensabile tasso di velocizzazione dei controlli». Ai controlli, tuttavia, la direttiva aggiunge che potranno dare contributi sia le prefetture sia il Giceric: è il gruppo interforze centrale (Polizia, Arma e Finanza) per l’emergenza e la ricostruzione per l’Italia centrale, istituito presso la direzione centrale della polizia criminale del dipartimento di Ps, guidato dal prefetto Franco Gabrielli.

Comunque «la Dia, anche attraverso i suoi centri operativi, provvederà a mettere a disposizione della Struttura (quella di missione, n.d.r.) gli elementi, non coperti dal segreto d’indagine, esistenti nel proprio patrimonio informativo relativi alle imprese scrutinate».

Alla direzione investigativa antimafia, nota la direttiva ministeriale, «c’è un patrimonio di dati e notizie che la stessa Dia ha accumulato nel tempo». C’è un caso tuttavia recente risultato non proprio funzionale. Con una indicazione dell’allora ministro Angelino Alfano del 12 novembre 2015 – poi esplicata da una direttiva di Alessandro Pansa quando era al timone del dipartimento Ps – si sollecitava la Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza a riversare alla banca dati della Dia le ordinanze di custodia cautelare contenenti reati mafiose.

I rispettivi vertici delle forze dell’ordine hanno poi invitato i questori e i comandanti provinciali a dare seguito a questa indicazione. La verità è che le ordinanze eseguite dai colleghi degli altri corpi trasmesse alla Dia, come disponeva il ministro, non sono state molte.

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