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Tutti i rischi per Renzi di una corsa alle urne senza un nuovo accordo nel Pd

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L'Analisi|politica 2.0

Tutti i rischi per Renzi di una corsa alle urne senza un nuovo accordo nel Pd

ora tutti chiedono le urne subito ma a rischiare col “fuoco” è soprattutto Renzi. Lui col voto vuole capitalizzare i “sì” referendari ma ci sono almeno tre insidie alla sua scalata. La decisione della Consulta ha avuto l’effetto politico di compattare gran parte delle forze politiche sullo slogan “al voto subito” sulla base di un passaggio scritto dai giudici: ossia, che l'Italicum corretto è di “immediata applicazione”. Nel coro che va da 5 Stelle alla Lega, da Forza Italia a Fratelli d’Italia c’è anche il Pd renziano che mette sul piatto un’alternativa secca: Mattarellum o urne. Ora, al di là del fatto che di un intervento legislativo ci sarà bisogno per armonizzare il sistema elettorale di Camera e Senato, lo sbocco delle elezioni sembra il più rischioso per il leader del Pd.

La prima ragione è che la Corte ha messo sul tavolo una legge proporzionale e questo fa comparire lo spettro di nuove larghe intese. Di un’alleanza, per esempio, tra Renzi e Berlusconi per riuscire ad avere una maggioranza parlamentare e formare un Governo. E forse i due insieme potrebbero anche non bastare visti i sondaggi attuali che non li danno sopra al 50 per cento. Basterà - però - evocare questo esito per far perdere consensi sia al Pd che a Forza Italia. È quello che faranno Grillo e Salvini, la Meloni e la sinistra che giocheranno la carta anti-sistema. E questo è il primo rischio per Renzi perché molti elettori Pd non vogliono finire tra le braccia del Cavaliere. E viceversa.

Secondo rischio. È vero che alla Camera resta il premio di maggioranza ma andrebbe al partito con più del 40% di voti che, sempre secondo i sondaggi attuali, oggi non esiste. Tra qualche mese tutto potrebbe accadere – potrebbe esserci l’exploit dei 5 Stelle o di nuovo del Pd come alle europee 2014 – ma ora entrambi i partiti oscillano intorno al 30%. Questo vuol dire che nessun leader entrerà dalla porta principale a Palazzo Chigi e chi farà il premier si deciderà dopo le elezioni, sulla base degli accordi tra partiti, come nella prima repubblica. Chi dà a Renzi la certezza di diventare premier? Nessuno, perché a comandare non sarà solo il Pd ma l’alleato o gli alleati con cui dovrà fare i patti.

Se davvero vuole andare al voto con questo sistema proporzionale, senza modificare nulla, Renzi rischia di non tornare a Palazzo Chigi. E non sembra che la vita al Nazareno gli interessi più di tanto. Invece, un ritocco al premio di maggioranza attribuito alla coalizione invece che a un partito, gli darebbe almeno l’opportunità di fare le primarie da candidato premier, come accadde con Prodi. Si intesterebbe un’operazione di rilancio del centro-sinistra, che è stato l’unico premiato dagli italiani, e con quella carta potrebbe tentare il ritorno al Governo.

Ma c’è anche un altro rischio nel non cambiare nulla della legge e puntare sul voto subito. Un rischio che si chiama scissione del Pd. La Consulta, infatti, ha mantenuto i capilista bloccati. Cosa vuol dire? Che il potere di fare le liste e scegliere i 100 deputati “favoriti” resta nelle mani di Renzi. La minoranza bersaniana accetterà di farsi sacrificare o farà un suo partito? Finora è stata un’ipotesi esclusa ma a queste condizioni torna in ballo nonostante due soglie di sbarramento diverse a Camera (3%) e l’8% al Senato che - infatti - Renzi non vuole toccare proprio per evitare una fuga. Senza contare che al prossimo giro il Pd avrà almeno 100 seggi da parlamentare in meno (non c’è più il premio del Porcellum) e questo scatenerà più di una lotta intestina prima della campagna elettorale. Come accadde prima del referendum, torna per Renzi il dilemma di un accordo nel Pd e a sinistra per tentare la sua “scalata”.

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