Ampliamento dello split payment ai fornitori delle società pubbliche; estensione a nuovi settori, fino ad oggi non toccati, del reverse charge, e più in generale potenziamento degli strumenti di lotta all’evasione che hanno dato finora «risultati molto soddisfacenti»; oltre alla possibilità di ritocchi delle accise su benzina e/o tabacchi .
Sono queste le leve fiscali che il Governo si dice pronto ad azionare per raccogliere i tre quarti delle risorse da recuperare per l’aggiustamento dei conti chiesto dalla Commissione europea. La lettera specifica comunque che si tratta di interventi strutturali per centrare gli obiettivi di medio periodo e quindi, nell’immediato, non sono previste manovre «estemporanee», come aveva sottolineato nei giorni scorsi il premier Paolo Gentiloni.
La possibilità di un intervento a breve potrebbe concretizzarsi solo davanti al rischio che l’Europa si mostri invece poco sensibile al tema delle spese aggiuntive da «oltre un miliardo» per il terremoto. In questo caso il Governo potrebbe ricorrere all’aumento delle accise sui carburanti, come già accaduto nel recente passato nel caso del sisma dell’Emilia.
Accanto a quelle sulla benzina, resta in campo l’ipotesi di ritocco limitata al campo dei tabacchi, in grado di offrire qualche centinaio di milioni e più gestibile anche sul piano politico dell’impatto sull’opinione pubblica. Un piano, quest’ultimo, che l’agitazione verso il voto accesa dalla sentenza della Consulta sull’Italicum ha reso particolarmente scivoloso.
Proprio l’attenzione elettorale, oltre all’esigenza più sostanziale di evitare misure «depressive» come più volte ribadito sia da Palazzo Chigi sia dal ministero dell’Economia, orienta gli sforzi sulle misure possibili. Fra queste occupano un posto di primo piano quelle che si prestano a essere etichettate come lotta all’evasione e all’erosione fiscale, a partire dall’estensione dell’inversione contabile come lo split payment, che potrebbe estendersi dai fornitori della Pa a quelli delle società pubbliche. Nei primi 11 mesi del 2016 questo meccanismo ha garantito all’Erario poco meno di 10 miliardi di aumento degli incassi Iva. Analogo è lo scenario del reverse charge, che nel settore privato sposta dal venditore all’acquirente gli obblighi Iva. Sotto osservazione ci sono in particolare settori come la grande distribuzione, su cui la mossa era però già stata tentata nel 2014 andando incontro l’anno successivo alla bocciatura da parte della Ue, gli orafi e i venditori di cereali e colture industriali. Proprio l’esperienza già vissuta con la grande distribuzione, però, insegna che la percorribilità di questa strada non è scontata: per applicare davvero il reverse charge, possibilità aperta fino al 31 dicembre 2018, occorre infatti convincere la commissione Ue che la misura serve a contrastare una serie precisa e dettagliata di tipologie di frodi fiscali.
Questa incognita renderebbe di fatto indispensabile accompagnare il nuovo tentativo con una misura alternativa che scatterebbe come una clausola di salvaguardia in caso di ulteriore stop europeo. Così è accaduto nella manovra, 2015, che accanto all’estensione del reverse charge a una serie di settori tra cui la grande distribuzione aveva previsto la copertura alternativa con le entrate da voluntary disclosure.
© Riproduzione riservata