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Le mosse di Orlando, l’assemblea Pd e il voto: i punti in sospeso…

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politica 2.0

Le mosse di Orlando, l’assemblea Pd e il voto: i punti in sospeso della direzione

(LaPresse)
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Con una larga maggioranza passa la mozione di Renzi che accelera sul congresso. Ma i numeri raccontano solo in parte quello che si muove nel Pd. Sono almeno tre le questioni «sospese». Innanzitutto, cosa accadrà all’assemblea di sabato se è vero che c’è chi proverà a bloccare la macchina congressuale. E poi ci sono le mosse del ministro Orlando che aprono a nuovi scenari. È vero che si è chiuso un ciclo, come diceva Renzi nella sua relazione. Perché una volta, non molto tempo fa, un voto così largo in direzione archiviava ogni discussione. Era un punto e a capo. Ieri invece alcune incertezze serpeggiavano ancora nonostante i numeri. Per esempio, finita la discussione erano in molti a dire che la partita non era finita. E che la direzione aveva assunto una decisione politica mentre il vero avvio della macchina congressuale, come da statuto Pd, dipende dall’assemblea. Ecco, quell’appuntamento – sabato prossimo – diventa un’altra tappa per chi vuole fermare la corsa di Renzi. È vero che anche lì c’è una schiacciante maggioranza per il segretario ma è anche vero che c’è una settimana in cui le varie correnti proveranno a trovare un’altra via d’uscita.

Si è notato il silenzio in direzione di Dario Franceschini. E quando il “capo” dell’area Dem non parla suscita sempre agitazione tra i renziani e speranze nella minoranza. E soprattutto si è notata la posizione politica assunta da Andrea Orlando. Anche lui guida una corrente nel partito e ieri ha maturato uno “strappo” che forse non tutti si aspettavano. Innanzitutto ha offerto una terza via tra la linea di Renzi per un congresso subito e i tempi più lunghi (a dicembre) della minoranza lanciando una piattaforma programmatica da farsi prima delle assise. Una mediazione per tentare di unire accompagnata da un gesto preciso: non ha partecipato al voto prendendo le distanze da Renzi.

Ecco, dietro a quei 107 sì, c’era chi metteva insieme il silenzio di Franceschini con la distanza di Orlando per ipotizzare un colpo di scena in assemblea. O - più probabile - un colpo di scena su chi sarà il candidato che si batterà contro l’attuale segretario. Ieri, infatti, è stato piuttosto evidente che se congresso ci sarà, la minoranza non ha un candidato alternativo a Renzi. E questo è l’altro punto in sospeso della direzione: che, cioè, parte una corsa senza una vera contendibilità nella leadership. È vero che c’è stata la candidatura di Enrico Rossi e pure quella di Michele Emiliano ma nessuno dei due “riscalda” i cuori perfino della sinistra interna. C’è poi Roberto Speranza ma anche il suo nome non sembra così competitivo. Qui si innesta la mossa a sorpresa di Orlando.

Nel senso che sul ministro si sta concentrando il pressing di tutto un mondo ex Ds che vorrebbe riprendere le redini del Pd. E che vede in lui il punto di mediazione perfetto perché si oppone a Renzi ma venendo dalla maggioranza e dal Governo, quindi, non rinnegando quelli che sono stati questi ultimi anni. Una posizione in cui potrebbero ritrovarsi anche le altre correnti come, per esempio, l’area di Franceschini. Di certo con Orlando non ci sarebbero rischi di una fine anticipata della legislatura. Opzione che è ancora molto temuta da gran parte del Pd. Ieri Renzi ha allontanato il voto, ha detto che non dipende da lui, che decidono Mattarella e i parlamentari ma è un po’ un’ipocrisia perché i governi vengono sostenuti innanzitutto politicamente e lui è il segretario del partito di maggioranza relativa. Dunque, non ha fugato del tutto i sospetti sulle urne. E questo è l’altro punto in sospeso della direzione che - invece - tornerà sabato e nella battaglia congressuale.

È vero che si è chiuso un ciclo, come diceva Renzi nella sua relazione. Perché una volta, non molto tempo fa, un voto così largo in direzione archiviava ogni discussione. Era un punto e a capo. Ieri invece alcune incertezze serpeggiavano ancora nonostante i numeri. Per esempio, finita la discussione erano in molti a dire che la partita non era finita. E che la direzione aveva assunto una decisione politica mentre il vero avvio della macchina congressuale, come da statuto Pd, dipende dall’assemblea. Ecco, quell’appuntamento – sabato prossimo – diventa un’altra tappa per chi vuole fermare la corsa di Renzi. È vero che anche lì c’è una schiacciante maggioranza per il segretario ma è anche vero che c’è una settimana in cui le varie correnti proveranno a trovare un’altra via d’uscita.

Si è notato il silenzio in direzione di Dario Franceschini. E quando il “capo” dell’area Dem non parla suscita sempre agitazione tra i renziani e speranze nella minoranza. E soprattutto si è notata la posizione politica assunta da Andrea Orlando. Anche lui guida una corrente nel partito e ieri ha maturato uno “strappo” che forse non tutti si aspettavano. Innanzitutto ha offerto una terza via tra la linea di Renzi per un congresso subito e i tempi più lunghi (a dicembre) della minoranza lanciando una piattaforma programmatica da farsi prima delle assise. Una mediazione per tentare di unire accompagnata da un gesto preciso: non ha partecipato al voto prendendo le distanze da Renzi.

Ecco, dietro a quei 107 sì, c’era chi metteva insieme il silenzio di Franceschini con la distanza di Orlando per ipotizzare un colpo di scena in assemblea. O - più probabile - un colpo di scena su chi sarà il candidato che si batterà contro l’attuale segretario. Ieri, infatti, è stato piuttosto evidente che se congresso ci sarà, la minoranza non ha un candidato alternativo a Renzi. E questo è l’altro punto in sospeso della direzione: che, cioè, parte una corsa senza una vera contendibilità nella leadership. È vero che c’è stata la candidatura di Enrico Rossi e pure quella di Michele Emiliano ma nessuno dei due “riscalda” i cuori perfino della sinistra interna. C’è poi Roberto Speranza ma anche il suo nome non sembra così competitivo. Qui si innesta la mossa a sorpresa di Orlando.

Nel senso che sul ministro si sta concentrando il pressing di tutto un mondo ex Ds che vorrebbe riprendere le redini del Pd. E che vede in lui il punto di mediazione perfetto perché si oppone a Renzi ma venendo dalla maggioranza e dal Governo, quindi, non rinnegando quelli che sono stati questi ultimi anni. Una posizione in cui potrebbero ritrovarsi anche le altre correnti come, per esempio, l’area di Franceschini. Di certo con Orlando non ci sarebbero rischi di una fine anticipata della legislatura. Opzione che è ancora molto temuta da gran parte del Pd. Ieri Renzi ha allontanato il voto, ha detto che non dipende da lui, che decidono Mattarella e i parlamentari ma è un po’ un’ipocrisia perché i governi vengono sostenuti innanzitutto politicamente e lui è il segretario del partito di maggioranza relativa. Dunque, non ha fugato del tutto i sospetti sulle urne. E questo è l’altro punto in sospeso della direzione che - invece - tornerà sabato e nella battaglia congressuale.

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