«E io tra di voi». Il titolo della canzone di Aznavour è un po’ la condizione in cui si trova il Governo Gentiloni in tempi di “guerra” nel Pd. Forse ci sarà la scissione e avrà i suoi effetti collaterali sull’Esecutivo. Ma anche se non ci sarà, la stagione congressuale che si apre non sarà a impatto zero. L’atmosfera di quella canzone di un po' di tempo fa è del tutto diversa da quella che si respira nel Pd, ma Paolo Gentiloni si trova proprio nel mezzo come uno spettatore necessariamente assente. «E io tra di voi che non parlo mai», diceva una strofa del testo. Ecco, il rischio di questa battaglia che si combatte nel Pd è che potrebbe relegarlo a un ruolo ancora più sfumato, più prudente e quindi più lontano dagli italiani. Se tenersi un passo indietro rispetto alla stagione congressuale lo mette al riparo da fibrillazioni partitiche, è anche vero che lo fa sparire rispetto alle immagini più forti e ingombranti di un congresso o, tanto più, di una scissione. Il pericolo, insomma, è di perdere un dialogo con i cittadini mentre si approvano misure che hanno un impatto popolare: la riforma dell’amministrazione, il decreto delle banche, la correzione dei conti, il piano sull’immigrazione, le nuove regole sui voucher, Industria 4.0. Provvedimenti ereditati da Renzi ma che avrebbero comunque bisogno di essere comunicati da un Esecutivo con un suo profilo, che non sta solo sullo sfondo di un congresso. E che sarà quello che dovrà accompagnare il Pd alle elezioni di giugno, se non quelle politiche di certo quelle amministrative.
Ieri Renzi ha fatto trapelare i termini del patto siglato con Franceschini che prevedono un congresso ma senza il voto anticipato a giugno. Ora, in questi momenti di trattative e minacce, tutto sembra scritto sulla sabbia ma se è vero che il Governo guadagna tempo è anche vero che non saranno mesi facili. Soprattutto se dovesse consumarsi una scissione. La conseguenza sarebbe la nascita di due gruppi parlamentari diversi e pressioni contrapposte su Gentiloni perché i “due” Pd avrebbero la necessità di ritagliarsi un’identità forte a spese dell’Esecutivo. È vero che Bersani in direzione si è speso per il Governo e la scadenza naturale nel 2018 ma, poi, come voterebbe sui singoli provvedimenti dopo aver rotto con Renzi? Perché l'azionista di maggioranza resterebbe il leader Pd. Ci sarebbe il rischio di tornare ai tempi dell’Unione quando la sinistra voleva fare la sinistra e strattonava Prodi e i riformisti (Ds e Margherita) lo strattonavano dalla parte opposta. Gentiloni, ministro di quella fase, se lo ricorda bene.
Meno complicata e nevrotica ma comunque difficile sarà la navigazione nel tempo del congresso. Anche senza scissione ma nel campo aperto di una competizione - magari con il ministro Orlando - i contraccolpi si sentiranno anche su Palazzo Chigi. Perché sarà il ritorno del protagonismo di Renzi e necessariamente occuperà tutta la scena, pure quella del Governo. Il rischio sarà, appunto, quello di tenere l’Esecutivo al ruolo di “valletta”, assente da un vero dialogo con gli italiani con cui vorrà avere - lui - un rapporto esclusivo. Come qualche giorno fa ha intimato di non toccare le tasse per correggere i conti pubblici, la scena potrebbe ripetersi molte volte. Fino a quando? Quanto potrà resistere Renzi dalla tentazione di staccare la spina una volta vinto il congresso? Per questo il patto di ieri con Franceschini ha un valore relativo. Più che quel patto conterà il ruolo del Colle.
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